Paolo Balduzzi
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Il nodo commercio/La visione del premier Mario Draghi di un’Europa più autonoma

Il nodo commercio/La visione del premier Mario Draghi di un’Europa più autonoma
di Paolo Balduzzi
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Giovedì 25 Marzo 2021, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 26 Marzo, 01:11

È un Mario Draghi decisamente molto schietto quello che ieri mattina, davanti ai senatori, ha presentato i temi che il Governo si appresta ad affrontare nel Consiglio europeo in programma a partire da oggi. Temi e problemi legati alla pandemia, naturalmente, e alla difficoltà di implementare piani di reperimento e somministrazione vaccinale finalmente soddisfacenti. 


Soprattutto, però, il presidente del Consiglio ha avuto l’occasione di delineare una nuova visione politica, commerciale e industriale per l’Europa nei prossimi mesi e soprattutto anni. Una visione che, tra vecchie sfide e nuove necessità, può essere riassunta con una sola parola: rinforzo. Innanzitutto, un rinforzo della propria indipendenza rispetto al resto del mondo. 


Un mercato che dipende di meno dalle esportazioni e di più dagli scambi al suo interno è un mercato più stabile, meno soggetto a shock e fluttuazioni della domanda estera. È anche un mercato in qualche modo più protetto, e lo abbiamo imparato nostro malgrado, anche dal punto di vista sanitario. Benché di rinforzo di mercato unico si sia sempre parlato in Europa, di fatto dal 1957 in poi, la novità sta ora nella ricerca di maggiore indipendenza dal resto del mondo. È una scelta condizionata, bisogna ammetterlo, anche - e in diversi modi - dalle politiche commerciali di Cina e Stati Uniti.

Non è certo la tradizionale alleanza transatlantica europea a essere in discussione, e Draghi lo ha ribadito chiaramente. Ma come ha ben commentato Romano Prodi nel suo editoriale di domenica, va affermandosi soprattutto negli Stati Uniti un nuovo paradigma commerciale trainato tanto dalla pandemia quanto - e forse soprattutto - dall’insoddisfazione che il libero mercato e la globalizzazione hanno prodotto sui lavoratori americani.
Una teoria economica convincente su questo è ancora da scrivere; tuttavia, il destino dei Paesi non è scritto dagli economisti ma dai politici. E le azioni politiche sono spesso trainate dal grado di soddisfazione dei propri elettori più che dalle visioni di lungo periodo dei governanti. Se gli Stati Uniti, a torto o a ragione, si chiudono commercialmente, l’Europa deve farsi trovare pronta: pronta a non dipendere da una domanda estera destinata a diminuire; e pronta a creare le condizioni per aumentare la propria capacità produttiva. 


Il secondo canale di rinforzo, quindi, è proprio quello che passa attraverso una politica industriale più attenta all’innovazione tecnologica e alle collaborazioni intraeuropee. Ciò è evidente anche dalle priorità definite dal Recovery facility. E accolte dal Piano nazionale di ripresa e resilienza italiano che, secondo le parole del ministro per l’Innovazione tecnologica e la Transizione digitale Vittorio Colao e riprese ieri dal premier, dedicherà ben il 20% delle risorse totali proprio alla trasformazione digitale. 


Che l’Europa debba colmare un ampio divario di livello, capacità, competenze e forse anche di mentalità tecnologiche col resto del mondo (economicamente) avanzato appare abbastanza evidente: basti guardare, come esempio più recente, al caos in atto sul piano vaccinale negli Stati europei. 


Inoltre, a differenza che con le altre grandi aree commerciali mondiali, in Europa manca un’autorità fiscale centralizzata: non esiste ancora un vero e proprio bilancio unico europeo; non esiste un fisco comune; l’intervento pubblico, necessario nelle fasi protezionistiche, è ancora in gran parte di competenza dei singoli Stati. È una sfida che va ben oltre la riscrittura, comunque necessaria, del Patto di stabilità e crescita e di cui i governi e i popoli europei devono essere ben consci.


Un mercato unico più forte è un mercato con regole uniformi e certe; è più interdipendente, più adatto a sviluppare collaborazioni e a condividere sfide, possibilità, obiettivi.

Sono obiettivi che non possono prescindere da una cornice in cui sono garantite sicurezza e garanzia dei diritti e delle libertà. In questo senso si comprende anche la chiusura del discorso di Draghi sulla Russia ma soprattutto sulle questioni aperte nell’area mediterranea, con riferimento in particolare a Libia e Turchia. 


Con quest’ultima serve tornare a tessere una dinamica di rapporti costruttivi e inclusivi. Da sempre, la Turchia può essere considerata un confine mobile dell’Unione Europea: collabora, a intensità variabili, per gestire flussi migratori e lotta al terrorismo. È anche evidente che molte delle azioni di Ankara, per ultimo il passo indietro sulla convenzione di Istanbul, vanno esattamente nella direzione opposta a quella desiderata, che è quella di confermare per tutti i cittadini europei ed extraeuropei gli stessi diritti umani e le stesse libertà, economiche e civili, indipendentemente dalle differenze di etnia, religione e, appunto, di genere. Ma la Turchia occupa una posizione speciale nella storia europea e ogni sforzo andrà fatto per stabilire collaborazioni durature e strategiche. Per garantire maggiori libertà a quel popolo e per assicurare maggiore sicurezza al nostro. 
Protezione, integrazione e sicurezza sono quindi le tre parole d’ordine per garantire il rinforzo necessario dell’Unione Europea. Il presidente del Consiglio propone quindi una strategia che richiede unità di intenti da parte dei Paesi membri; una unità che, seppur con qualche resistenza, è già stata sperimentata nell’ultimo anno e che dovrebbe portare l’Italia, con un certo ottimismo, a guidare il disegno di una nuova politica europea.

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