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Manovra a metà/ I piccoli bonus che non fanno ripartire il nostro Paese

Articolo riservato agli abbonati
22 Dicembre 2020 (Lettura 4 minuti)

La legge di bilancio è stata caricata, come questo giornale ha documentato, di una serie di micro-interventi, di bonus e incentivi dettagliati e specifici. È un pessimo segnale e non è difficile capire il perché.

Nel corso di questo sventurato 2020 il Governo è intervenuto in più e più occasioni con provvedimenti volti a mitigare l’impatto economico della pandemia. Sono stati presi provvedimenti di carattere più generale, come l’ampia estensione della cassa integrazione, insieme a tante misure più specifiche, rivolte a determinate categorie economiche. Complessivamente si è trattato di interventi ragionevoli, sulla stessa linea di quelli presi dagli altri Paesi europei. Si è cercato di impedire che le chiusure e le norme sui comportamenti provocassero fenomeni gravi sia da un punto di vista sociale che produttivo: di evitare che tante famiglie si trovassero prive di qualsiasi reddito e avessero difficoltà nella vita quotidiana. Le immagini delle code ai centri per la distribuzione dei pasti o il forte incremento di quanti hanno dovuto ricorrere ai servizi sociali nelle nostre città ci dicono quanto il problema fosse e resti serio, e come tali interventi fossero doverosi. Allo stesso tempo si è cercato di impedire che molte attività economiche, specie imprese familiari, di minore dimensione, nel terziario, fossero travolte dalla crisi e dovessero definitivamente chiudere.

Va quindi benissimo interessarsi a casi e situazioni specifiche, a problemi di gruppi e categorie. In tutti questi casi è opportuno discutere delle singole misure (tenendo naturalmente conto dei tempi estremamente ridotti in cui sono state definite), verificare che esse riescano il più possibile a coprire tutti gli interessati, che siano congrue, che siano efficienti nell’erogazione. 

Ma il discorso deve necessariamente cambiare quanto si viene a discutere degli interventi per il rilancio e la trasformazione virtuosa della nostra economia. L’Italia, ancora una volta come gli altri Paesi europei, ha un problema di fondo: passare da misure compensative e temporanee ad azioni ampie e permanenti per la ripresa. Con il tempo le prime devono progressivamente ridursi e le seconde crescere di importanza, compatibilmente con la circolazione del virus che impone di continuare, ed in alcuni casi di estendere, gli interventi di specifica mitigazione sociale ed economica. Ma fortunatamente lo stesso schema del Piano di Rilancio ci impone di dedicare la massima attenzione ai provvedimenti per il futuro, alla costruzione di un quadro di riferimento ampio e lungimirante di azione pubblica che possa non solo riattivare l’economia ma cambiare progressivamente lo stesso modo di funzionamento del Paese, garantendo così un aumento strutturale della crescita economica, della produttività, dell’occupazione. Le grandi voci dell’Europa “verde” e “digitale” dell’Iniziativa Europea per la Nuova Generazione ne sono il migliore esempio. La legge di bilancio potrebbe e dovrebbe essere coerente con questa impostazione.

In questa logica non si può che partire dai grandi blocchi che sorreggono l’intera società italiana. Dall’istruzione. Ambito nel quale già prima della pandemia il nostro Paese mostrava gravi ritardi, e dove i tanti mesi di didattica a distanza hanno certamente aggravato il quadro, con il concreto rischio di grandi vuoti negli apprendimenti e di un aumento della dispersione delle fasce di studenti più deboli. Azioni per la scuola servono nell’immediato, per garantire una riapertura in sicurezza (anche sotto il profilo dei trasporti) e per recuperare il più presto possibile i tanti che sono rimasti indietro; e servono nel medio e nel lungo periodo per potenziare e rendere territorialmente omogenei alcuni elementi del complessivo sistema: dal potenziamento degli asili nido (come politica non solo per il lavoro femminile ma anche per la prima socializzazione dei piccoli) all’estensione del tempo pieno nelle elementari e nelle medie. Servono poche idee chiare e tanti soldi. 

Lo stesso vale a maggior ragione per la sanità. Al momento nel Piano di Rilancio sono disponibili risorse per interventi strutturali e di potenziamento tecnologico; ma essi vanno accompagnati – come in parte si è positivamente già iniziato a fare nel corso di quest’anno – dal reclutamento di nuovo personale, specie infermieristico, dalla sua formazione, dalla realizzazione e messa a regime di reti capillari di servizi socio-assistenziali territoriali e dalla progressiva estensione dei servizi di salute a distanza. Anche in questo caso, servono poche idee chiare e molti soldi. È partendo dalle basi, dai grandi servizi per tutti i cittadini, che si può progressivamente costruire un’Italia diversa, migliore. 

I decisori politici dovrebbero indicare con chiarezza questi grandi obiettivi, e muoversi da subito con coerenza e lungimiranza. La legge di bilancio dovrebbe essere esemplificativa: contenere certamente i molti e dettagliati interventi compensativi, di mitigazione, ancora necessari di cui si diceva prima; ma poi concentrare l’attenzione politica e le risorse disponibili sui grandi temi del futuro. Poche e chiari obiettivi con tanti soldi. Le cronache parlamentari ci raccontano invece del desiderio di tanti di collocare nella legge di bilancio interventi anche di piccola dimensione che soddisfano esigenze assai più particolari, del desiderio di farsi riconoscibili rappresentanti di gruppi, categorie, interessi. Ma l’Italia non riparte sommando bonus e particolarismi; peggio ancora, da una gara fra interessi per chi ottiene di più per sé. Ma da grandi progetti e interventi strutturali, rivolti alle più ampie platee possibile su cui concentrare le risorse disponibili. Riaprire in sicurezza e potenziare le scuole, investire sui ragazzi e sulle ragazze; rafforzare da subito i servizi sanitari e garantire a tutti la miglior salute possibile. Meno bonus per pochi, più servizi per tutti.

Ultimo aggiornamento: 23:08 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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