Giuseppe Vegas
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Lobbies in campo/ Dove vanno le risorse per sostenere l'economia

di Giuseppe Vegas
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Domenica 21 Maggio 2023, 00:00

Immaginiamo per un momento che nel 216 avanti Cristo, mentre Annibale si dedicava agli ozi di Capua dopo avere distrutto tutti gli eserciti romani che avevano cercato di fermarlo, il Senato di Roma avesse deciso di difendersi rafforzando le mura della città. Alla ripresa delle ostilità, dopo un lungo assedio, la città sarebbe caduta.
Invece i senatori saggiamente decisero di rimpolpare le schiere dell’esercito liberando addirittura ottomila schiavi e stringendo nuove alleanze nei terreni italici. Grazie a queste decisioni, Roma sopravvisse altri 692 anni.
Ci sono voluti più di duemila anni perché il filosofo francese Henri Bergson, prima, e finalmente Karl Popper nel 1945, identificassero la possibilità di sviluppo di una società con il fatto di essere aperta, cioè disposta ad includere il “forestiero” e soprattutto di permettere a tutti di parteciparne ai processi decisionali.

Gli anni sono passati, ma in fondo i problemi non cambiano. Nel medioevo i contadini erano obbligati dall’organizzazione feudale a risiedere nei villaggi di origine e, finché non furono autorizzati a lasciare i campi, fame e malattie rappresentarono la cifra delle condizioni di vita in Europa. La storia si è ripetuta in Russia fino al XIX secolo e in Cina fino quasi alla fine del ventesimo. Il motore della ricchezza delle nazioni non sono il possesso di risorse naturali o l’abbondante popolazione, ma la presenza di una organizzazione istituzionale che consenta il funzionamento della scala mobile sociale.

Il che significa non solo garantire la possibilità che ciascuno si dedichi a ciò verso cui si sente più votato, ma soprattutto che non vengano create barriere di accesso ed ostacoli allo svolgimento di attività o professioni e limiti alla libera iniziativa economica ed imprenditoriale. Cosa che accade troppo spesso. Sia in conseguenza dell’ostilità nei confronti di chi viene da “fuori”, che nutrono molti di coloro che sono “dentro” e che temono la concorrenza o di perdere posizioni di vantaggio di cui godono. Sia sulla base dell’illusione che un ambiente protetto garantisca meglio lo sviluppo e il benessere di una comunità. In realtà, avviene esattamente il contrario. Solo se si accolgono nuove idee e persone volonterose è possibile innovare, crescere e affrontare le novità del futuro. Altrimenti si perpetua solo il passato. Tuttavia, spesso le politiche adottate dai governi sembrano non tenere in considerazione questo semplice principio. Forse perché si continua a credere che evocare paure e fornire il placebo di divieti e sussidi possa servire ad ottenere consenso. Certo, si può guadagnare un po’ di tempo, ma la conseguenza è che peggioreranno le ragioni di scambio con l’estero, soprattutto oggi per acquistare prodotti tecnologicamente avanzati. A questo punto però, gli elettori, divenuti più poveri, si ribelleranno contro chi li aveva illusi.

Occorre dunque, nel momento delle scelte, evitare quelle che possono portare ad un inarrestabile declino, sebbene all’apparenza si presentino come buoni rimedi: le spese deducibili dall’imponibile fiscale sono un buon esempio.

Poter far rientrare alcune categorie di spese tra gli oneri deducibili o detraibili sembrava un’idea brillante. Innanzitutto perché la normativa di favore riconosce il valore di spesa meritoria a quegli esborsi che in qualche modo vanno a supplire l’insufficienza delle risorse pubbliche destinate a servizi essenziali: si pensi all’istruzione o alla sanità. O a quanto va destinato ai costi per la produzione del reddito, o ancora all’acquisto e alla manutenzione di beni privati di cui è reputato opportuno sostenere la domanda, come è il caso degli immobili, degli arredi o dei mezzi di trasporto. Inoltre, perché si tratta di un espediente per creare una sorta di “illusione fiscale”. Chi versa all’erario una percentuale elevata dei propri redditi, se può ottenere un rimborso per alcune spese si sente meno vessato perché gode di uno sconto, che rende meno pesante l’onere tributario. E quindi, di conserva, possono essere mantenute e pubblicizzate le aliquote più elevate, in modo da giustificare l’ossequio del principio costituzionale della progressività della tassazione in funzione della crescita del reddito. Così i poveri sono contenti perché i ricchi pagano di più e i ricchi sono meno scontenti perché pagano di meno. E ciò in ragione del fatto che in genere le spese che consentono di alleggerire le tasse sono quelle di chi se le può permettere. Una realtà ormai radicata e perciò di non facile rimozione, sebbene qualche tentativo oggi si intraveda; e che comunque contiene i semi di un principio regressivo. Non basta. Occorre poi guardare a dove finiscono le risorse di questa operazione: spesso a vantaggio di settori o imprese che vengono individuati, sotto l’ombrello dell’interesse collettivo, in base ad una precisa scelta dei destinatari. Scelta il più delle volte suggerita al Parlamento da agguerrite organizzazioni di tendenza, le cosiddette lobbies. Organizzazioni che, per loro natura, mirano all’interesse dei loro rappresentati e non a quello generale. Tanto che non è sempre garantito che il loro obiettivo sia coerente con l’indirizzo di politica economica perseguito dal governo. Se ci si ostina a seguire questa strada, è molto probabile che la conseguenza sia quella di sostenere e di sottrarre al benefico confronto con la concorrenza settori maturi, quando non decotti, sacrificando quelli più innovativi. Di conseguenza si crea un danno all’economia del Paese, senza aver apportato alcun reale beneficio alla comunità.

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