Romano Prodi
​Romano Prodi

Interventi urgenti/ Gli sforzi da affrontare per fermare l’inflazione

di ​Romano Prodi
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Sabato 13 Maggio 2023, 00:22

Forse perché nata insieme al Covid, l’inflazione che tanto ci pesa non è stata affrontata con la necessaria rapidità e il necessario vigore. È opportuno ricordare come, anche in molti raffinati circoli accademici, si riteneva che, in quanto provocata da temporanee restrizioni dell’offerta a causa del Covid, essa sarebbe stata di breve durata. Era infatti divenuta dottrina diffusa che un’inflazione da costi sarebbe stata più governabile di un’inflazione da domanda. Solo alla fine del 2021 la Banca della Riserva Federale si è resa conto che non si trattava di un evento transitorio e ha cominciato una rapida politica di aumento dei tassi di interesse che, se fosse partita prima, avrebbe certo potuto essere più leggera e graduale. Poi, nel febbraio del 2022, è arrivata la guerra di Ucraina, che ha rinvigorito il processo inflazionistico con un aumento dei prezzi dei prodotti agricoli, delle materie prime e, con particolare pesantezza in Europa, del gas e del petrolio. Durante lo scorso anno il fenomeno inflativo non ha fatto che aumentare, arrivando intorno al 10% tanto negli Stati Uniti quanto in Europa.

I prezzi dell’energia e delle materie prime sono poi calati a livello inferiore a quello registrato prima del conflitto, ma l’inflazione è rimasta elevata, mentre l’aumento dei tassi di interesse ha provocato un progressivo rallentamento dell’economia insieme a una serie di fallimenti bancari. Il fatto nuovo, sotto certi aspetti inaspettato, è che mentre sono diminuiti molti prezzi dei beni primari e intermedi, l’inflazione ha continuato a colpire, con sempre maggiore violenza, il carrello della spesa quotidiana. Come ha diligentemente testimoniato il Messaggero, il prezzo della pasta, nonostante il crollo della quotazione del grano a poco più di 30 centesimi al chilo, è aumentato del 17,3% nel corso di un anno, dopo gli aumenti precedenti. Non solo: il prezzo medio è ora di 2,3 Euro al chilo a Milano e di 1,49 a Palermo, con una differenza che risponde non alla diversità dei costi, ma al potere d’acquisto del consumatore. E se si prende in considerazione il prezzo del pane o di altri beni di uso quotidiano, la differenza nei confronti dello scorso anno e lo scostamento fra nord e sud sono ancora maggiori. 

Naturalmente quando il peso dell’inflazione grava soprattutto sui beni essenziali, sono le categorie più povere ad essere maggiormente danneggiate. Secondo il gruppo di ricerca di Bruegel, in Italia il peso dell’aumento di questi beni incide per il 9% sui più ricchi, mentre è più del doppio per i più poveri. I salari non hanno seguito questi aumenti: la loro perdita di potere d’acquisto è molto maggiore della media degli altri paesi europei mentre, nella maggior parte dei settori produttivi, i profitti sono aumentati. Sia che provenga da scarsità di offerta che da eccesso di domanda, l’inflazione è difficile da arrestare.

Quando parte, tutti ne approfittano e il controllo generale dei prezzi è un esercizio sostanzialmente impossibile. Altri paesi, a partire dalla Francia, hanno tuttavia, da alcuni mesi, adottato strumenti utili allo scopo, partendo da una pubblicità degli aumenti ufficialmente certificati fino a un pubblico confronto fra le imprese produttrici, le grandi catene distributive e le rappresentanze dei consumatori. Un confronto guidato dalle autorità pubbliche, che successivamente intervengono nei casi di maggiore rilevanza. In Italia è stato fatto il primo passo giovedì scorso con l’espressione di volontà del Garante per la sorveglianza dei prezzi di ricorrere a misure di controllo, per ora indirizzate nei confronti della pasta e dei cereali.

Non è certo l’inizio di un esercizio facile, data la varietà degli strumenti che vengono adottati quando si procede all’aumento dei prezzi, con diversità e sofisticazioni che passano anche dalla minore qualità alla minore quantità dei prodotti contenuti in analoghe confezioni. Oggi viviamo in una situazione paradossale. Da un lato siamo quasi tutti concordi nell’affermare che non si può lasciare esclusivamente alle banche centrali il compito di combattere l’inflazione con l’aumento dei tassi di interesse perché questo strumento è efficace solo se produce un danno concreto all’attività economica. Dall’altro, tuttavia, i responsabili politici esitano a prendere decisioni che possono trovare l’opposizione delle organizzazioni produttive e distributive. Eppure, se i prezzi continuano ad aumentare in presenza di un potere d’acquisto in diminuzione, non può che seguire il calo della domanda e, con esso, la crisi delle imprese.

In questi mesi abbiamo lasciato correre questa sciagurata evoluzione senza porre attenzione alle sue possibili conseguenze. Mi auguro che vi sia ancora il tempo per interromperla, ma occorre che il governo si renda conto della necessità di una generale e sistematica azione di sorveglianza e controllo, almeno per evitare i numerosi eccessi. Il peggioramento del potere d’acquisto di una grande parte del paese è infatti arrivato oltre il limite della sopportazione. Questo problema si pone con particolare rilevanza in Italia, ma preoccupa anche tanti altri paesi. Ovunque l’interrogativo se si riesca a frenare l’inflazione in un tempo sufficientemente breve è il problema dominante. Gli esperti, come spesso avviene, si dividono equamente su due fronti: la metà pensa che un freno sia possibile e l’altra metà ritiene invece che l’inflazione durerà a lungo. Io sono convinto che, in ogni caso, si debba fare ogni sforzo per domare l’inflazione, anche se dobbiamo essere consapevoli che i bassi tassi di interesse che abbiamo avuto nel recente passato non ritorneranno per molti anni. Forse per molti decenni.

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