Romano Prodi
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Imposizione Ue/ La scelta (rischiosa) del riuso per gli imballaggi

di Romano Prodi
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Sabato 20 Maggio 2023, 00:09 - Ultimo aggiornamento: 10:23
Con la crescita della popolazione, del reddito e dei consumi abbiamo portato nel nostro pianeta problemi nuovi e complessi. Per questo motivo ci troviamo solitamente impreparati. Dobbiamo però con tutta onestà riconoscere che, di fronte a questi imprevisti, l’Europa è stata sempre anticipatrice nello sforzo di organizzare una possibile risposta.
È stata infatti l’Europa a reagire per prima al cambiamento climatico e ai problemi dell’ambiente, preparando il protocollo di Kyoto contro la volontà di Cina e Stati Uniti. E dobbiamo riconoscere che essa continua in questa sua lodevole azione, esercitando ancora oggi il suo ruolo di avanguardia e di esempio nel mondo.
Non ci si deve però sorprendere se questo ruolo, come ogni azione sperimentale, si presta a critiche e contestazioni, come sta accadendo in questi mesi nei confronti della proposta di regolamento per gli imballaggi. Si tratta di un problema un tempo minore, ma oggi di enorme importanza dal punto di vista quantitativo e qualitativo. 
Per riassumerne in poche parole l’importanza, si deve semplicemente riconoscere che oggi tutto ciò che viene fabbricato, trasportato e consumato, è racchiuso in un imballaggio, sia esso costituito da una scatola di cartone, da una bottiglia di vetro o da un contenitore di plastica. 
Ed è altrettanto doveroso constatare che, proprio per questo, gli imballaggi sono diventati un problema per l’intero pianeta. 
Allo scopo di risolverlo si è sviluppata una grande attività industriale dedicata al suo “riciclo”. Il che significa raccogliere l’imballaggio dopo il suo uso, trattandolo con adeguati processi chimici e meccanici in modo da trasformarlo di nuovo in bottiglie o scatole adatte a ripetere la stessa funzione.
Esistono a questo scopo regole europee che hanno imposto ai Paesi severi obiettivi da raggiungere per riciclare la maggiore quantità possibile degli imballaggi. Dobbiamo ammettere che, almeno per una volta, l’Italia si è dimostrata più virtuosa di tutti i grandi Stati concorrenti e che, grazie alla straordinaria attività dei consorzi di raccolta e all’efficienza delle imprese dedicate alle lavorazioni successive, siamo almeno cinque anni avanti rispetto agli stessi severi obblighi europei.
Ebbene a Bruxelles si è negli scorsi mesi proposto un nuovo Regolamento (obbligante quindi per tutti i Paesi) secondo il quale bisognerebbe passare progressivamente dal “riciclo” al “riuso” degli imballaggi . Il tutto può apparire di importanza trascurabile, ma si tratta di una vera e propria rivoluzione. 
Il nuovo obiettivo non è più quello di usare la stessa materia per produrre nuovi imballaggi, ma fare arrivare al consumatore la merce in recipienti o imballaggi che debbono essere restituiti all’origine ed essere quindi riempiti di nuovo dopo essere adeguatamente lavati e sterilizzati. 
In teoria si tratta di un gradevole ritorno all’antico, ma anche di un ritorno ai rischi igienici dell’antico e ad un impressionante aumento di spesa per la conservazione e il trasporto dei cosiddetti vuoti, che debbono essere in qualche modo conservati e che, a volte, debbono compiere migliaia di chilometri per ritornare al loro precedente produttore. Molto spesso, infatti, si tratta di contenitori originali e diversi fra di loro. 
Siamo di fronte a una scelta che impone obblighi e costi aggiuntivi a centinaia di migliaia di esercizi commerciali, del turismo, della ristorazione e di tanti altri settori produttivi e commerciali che avrebbero l’obbligo di immagazzinare e rispedire al mittente gli imballaggi stessi.
Senza entrare nell’analisi dei costi e dei benefici di queste diverse politiche sul consumo di acqua, di energia e sugli sprechi alimentari conseguenti, mi preme fare presente che l’Unione Europea, proprio per le grandi responsabilità che essa si è assunta di fronte ai suoi cittadini e al mondo intero, ha l’obbligo politico di fissare obbiettivi concreti per la salvaguardia del pianeta, ma non può imporre un’unica strada per raggiungerli.
Soprattutto quando, come nel caso del riciclo degli imballaggi, sono state percorse strade alternative che hanno dato sorprendenti risultati positivi in termini di costi e di equilibri ambientali. La Commissione Europea si sta invece sempre più indirizzando verso la dottrina opposta, che consiste nel fissare in modo sempre più analitico non solo gli obiettivi, ma anche le modalità e gli strumenti per raggiungerli.
Questo in contraddizione con uno dei principi fondanti dell’Unione per cui, fatta salva la necessaria condivisione dei traguardi da perseguire, le modalità e gli strumenti per raggiungerli debbono essere costruiti in modo da essere vicini alle preferenze, alle esigenze e agli interessi dei cittadini. Forse perché abbiamo battezzato questo semplice principio con un termine complicato e di suono antico come “sussidiarietà”, a Bruxelles lo si sta colpevolmente trascurando.
Dobbiamo invece continuare a proporre ai Paesi dell’Unione Europea traguardi comuni sempre più ambiziosi per salvaguardare gli equilibri del pianeta, ma non possiamo imporre norme restrittive che penalizzano i comportamenti più virtuosi e rendono impossibile l’applicazione delle tecnologie più avanzate.
La battaglia per il “riciclo” non riguarda quindi solo la difesa di legittimi e importanti interessi italiani, ma delle garanzie pluralistiche e democratiche che sono ancora alla base del progetto europeo.
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