Francesco Bruno
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Norme da cambiare/ L’hub per l’energia e il nuovo codice per l’ambiente

di Francesco Bruno
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Mercoledì 25 Gennaio 2023, 00:05

Il presidente del Consiglio, il ministro degli Esteri  e i rappresentanti di Eni, di Confindustria e di molte imprese interessate e collegate al settore energetico (e non solo) sono appena tornati da una visita istituzionale nei Paesi del Nord Africa. La strategia è quella di puntare a trasformare il nostro Paese in un “hub energetico europeo”. Da quanto emerge dai resoconti degli incontri, in queste ore sembrerebbe però che il tema sia tutto orientato verso un “hub del gas”, cosa di cui si discute già da molto tempo (come correttamente già scritto nelle pagine di questo giornale, si tratterebbe di una sorta di nuovo “Piano Mattei”). 

L’Italia è il ponte naturale tra il Centro Europa e l’Africa Mediterranea e ha una conformazione geografica che naturalmente la porterebbe a diventare il collettore e la via di trasporto del gas verso l’Europa, oltre al fatto che le nostre imprese sono in prima linea in tutta l’area nelle scoperte di nuovi giacimenti. E l’attuale quadro geopolitico, con la crisi dell’Ucraina e la crescita dei prezzi (sebbene altalenante) delle materie prime, sta certamente accelerando questo processo, come dimostrato dalla firma del protocollo d’intesa tra la Commissione europea e l’Azerbaijan che prevede l’estensione e l’utilizzo del gasdotto Tap per il trasporto di gas azero verso l’Unione Europea attraverso l’Italia.

Già, se veramente l’Italia diventasse il collettore del gas per l’Europa acquisterebbe un evidente e maggiore ruolo strategico, con notevoli vantaggi economici, come l’impulso alle imprese coinvolte ed il prezzo più basso del gas per gli utenti finali, consumatori e aziende. Tuttavia, ci sembra che emerga in queste ore dalle parole dei nostri rappresentanti un qualcosa in più, seppur ancora probabilmente non totalmente maturato e meditato: l’Italia non solo come “hub del gas”, bensì come “hub energetico”, di tutte le energie, gas e alternative, per le esigenze dell’intero continente (in particolare dei Paesi Ue, ma non solo). 

E si tratta di differenza di non poco conto, che implica un passo in avanti nella strategia complessiva sotto il profilo energetico, ambientale ed industriale, ma che riteniamo sia una occasione irripetibile di sviluppo per il nostro Paese. Tuttavia, devono essere superate alcune insidie. Innanzitutto, la questione infrastrutturale: sia in riferimento al trasporto di gas, ma altresì a quello dell’energia alternativa (idrogeno, eolico, idroelettrico di ultima generazione e fotovoltaico) non vi può più essere una discontinuità tra sud e nord del Paese come quella attuale. La decarbonizzazione del settore elettrico attraverso la promozione di una partecipazione attiva dei consumatori finali e industriali alla transizione energetica e lo sviluppo di interventi sulle reti di trasporto e distribuzione deve essere accelerata, come l’utilizzo dei rifiuti a fini energetici (termovalorizzatori in primis).
Eppure al momento abbiamo un vero e proprio “collo di bottiglia” (come efficacemente chiamato dai vertici di Eni) a livello delle regioni centrali italiane che deve quanto prima essere superato.

Inoltre, la realizzazione dell’ambizioso proposito del governo non può che passare, per un verso dal rapporto con Regioni ed enti locali, al fine di evitare contenziosi che farebbero venir meno (o comunque rallentare) lo sviluppo del piano. Per l’altro, dalle relazioni con le istituzioni della Ue e gli altri Paesi partner, essendo illusorio voler effettuare una operazione strategica di tale rilievo senza condividerne finalità e opportunità in sede europea. 

Infine, deve essere inevitabilmente revisionato il Codice dell’ambiente, ossia il quadro di riferimento nazionale sulla tutela degli ecosistemi. Vanno riscritte le regole di un nuovo (necessario) paradigma del rapporto tra preservazione dell’ambiente, sviluppo dei territori, politica energetica e attività di impresa, attraverso una chiara identificazione delle aree di sfruttamento, uno snellimento autorizzatorio per i grandi e i medi impianti, un ammodernamento della rete di distribuzione e di collegamento delle strutture energetiche. 
E magari approfittare del momento per creare regole nuove e più chiare sull’economia circolare e la gestione delle risorse idriche. Se non dovesse vincersi la sfida energetica, si manterrebbero gli attuali squilibri regionali, si creerebbe meno occupazione, si svilupperebbe meno l’economia, in altre parole diminuirebbe ancora il peso geopolitico del nostro Paese nel contesto internazionale. Non ci dimenticheremo mai di ripetere che il declino non è inevitabile.

* Ordinario di diritto ambientale Università Campus Bio-medico

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