Francesco Grillo
Francesco Grillo

Il piano che manca/Il patrimonio di energia che può fornire il Sud

di Francesco Grillo
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Martedì 10 Gennaio 2023, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 23:02

Esiste un vantaggio competitivo attorno al quale il Mezzogiorno può costruire un’idea di sviluppo in grado di sconfiggere la rassegnazione alla quale ci siamo tutti abituati da decenni? In realtà il Mezzogiorno ha una possibilità e se la gioca proprio in uno dei settori dai quali dipende il futuro. E a dimostrarlo sono due mappe. La prima (elaborata dalla Rse) calcola – per mese – l’energia solare che ogni metro quadrato in diverse zone in Italia accumula in un giorno medio: il Mezzogiorno (ed in particolar modo la Sicilia) può contare su un potenziale che è due volte e mezzo superiore a quello del Nord. La seconda (costruita dall’Anev) fotografa come si distribuiscono nello spazio i parchi eolici italiani: in Lombardia non ce n’è neppure uno; la Puglia ne ospita un quarto del totale nazionale. 


Quella delle rinnovabili, è una storia che nel Mezzogiorno ha conosciuto errori di programmazione e abusi. E, tuttavia, è sul solare e sull’eolico che il Sud – con un approccio più concreto - può costruire un grande progetto capace di attrarre investimenti privati. E di dare senso al proposito di investirvi nei prossimi cinque anni, 125 miliardi di euro di finanziamenti pubblici (la cifra che si ottiene sommando le risorse del Pnrr destinati al Mezzogiorno e i fondi strutturali allocati alle otto Regioni italiane che l’Unione Europea ritiene in ritardo di sviluppo). Una grande occasione a patto però di risolvere tre problemi.


Nelle proiezioni più recenti dello Svimez il divario tra Sud e Centro Nord aumenta ulteriormente. Nel 2022 il Pil del Nord è cresciuto del 4%, mentre quello del Sud di meno del 3%; nel 2023 se il resto d’Italia dovrebbe poter galleggiare appena sopra i livelli dell’anno precedente, il Mezzogiorno entra decisamente in recessione. A determinare il rallentamento generale, c’è un’inflazione mai così alta determinata da diversi fattori, anche se sui conti delle famiglie italiane pesa, soprattutto, l’impennata dei costi dell’energia. In questo contesto il paradosso è che il Mezzogiorno d’Italia paga maggiormente gli effetti di uno shock al quale dovrebbe, però, essere più capace di resistere. In effetti è proprio sulle energie rinnovabili che il Sud ha il proprio vantaggio. Un vantaggio che può crescere ancora molto (visto che l’Unione Europea si propone di aumentare del 50% la quota del proprio fabbisogno energetico coperto dalle rinnovabili entro il 2030); e che, però, è stato sinora utilizzato in maniera disomogenea e con un sistema di incentivi che, oggi, non stimola neppure l’ammodernamento di una parte degli impianti. Eppure è sul rinnovabile che il Sud può costruire la sua occasione più grande se risolve tre questioni.


La prima è quella delle autorizzazioni che è, del resto, tra le riforme abilitanti che si pone il Pnrr. Non necessariamente un impianto eolico o solare ha un effetto paesaggistico negativo: uno degli itinerari più belli d’Europa – il Cammino di Santiago nel nord della Spagna – riesce a fare delle pale, una riedizione di quei mulini a vento che evocano le avventure che descrive Cervantes.

E, tuttavia, non tutti gli impianti possono essere installati dovunque: in certe condizioni, i pannelli solari possono rilasciare più anidride carbonica di quanto non ne sia risparmiata dal processo di sostituzione di energie fossili che essi abilitano. Essenziale è, però, che vengano fissate tempistiche tassativamente brevi per ottenere risposte certe (e non condizionate da variabili che un imprenditore o un individuo non può controllare). 


In secondo luogo, è indispensabile porsi il problema di come non disperdere il valore economico collegato alla crescita di un’offerta di energia rinnovabile al Sud. Affrontando un problema più grande dello stesso Mezzogiorno. In questo momento, l’utilizzo dell’energia solare dipende fortemente da pannelli solari che, come ricorda lo stesso Pnrr, sono prodotti in Europa solo per il 5%. Da batterie che consentono l’accumulo dell’energia nei periodi in cui è meno richiesta, laddove i dieci maggiori produttori del mondo vengono tutti dall’Asia. I magneti delle turbine eoliche, infine, utilizzano materiali rari la cui produzione è monopolizzata dalla Cina. Al Sud, peraltro, ci sono meno laureati e tra di essi scende la percentuale di quelli che hanno studiato materie scientifiche (Stem). Bisogna ripartire dall’università – promuovendo partnership con imprese private che coinvolgano i politecnici del Nord e degli altri Paesi europei – che si aggreghino attorno a obiettivi precisi.


In terzo luogo, è necessario disegnare un meccanismo che faccia corrispondere alla produzione di energia solare o eolica, un risparmio sulle bollette nei territori che decidono di ospitare gli impianti. Il modello dell’autoconsumo e delle comunità energetiche locali manca della scala per poter mobilitare gli investimenti necessari per portare all’indipendenza energetica pezzi di territori che possano fare da esempio per gli altri.
È la rassegnazione l’aspetto più preoccupante che la questione meridionale ha assunto negli ultimi decenni:
la sensazione è che la retorica serva solo a giustificare finanziamenti pubblici che hanno l’effetto collaterale di mantenere in vita classi dirigenti non più adeguate.


Il grande investimento europeo sull’Italia, si gioca, però, proprio al Mezzogiorno e per riuscire abbiamo bisogno assoluto di una visione. 
Visione significa fare la scelta di specializzarsi su poche aree che sono in forte crescita e nelle quali abbiamo un vantaggio che può esserci riconosciuto. È attorno alle rinnovabili che possiamo costruire il futuro del Mezzogiorno. Solo se però disegniamo gli incentivi giusti per trasformare tutti i finanziamenti pubblici in progetti in grado di continuare senza dipendere dalla politica. 

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