Francesco Grillo
Francesco Grillo

Ricatti energetici/ Quale ricetta per sottrarsi alla stretta del gas russo

di Francesco Grillo
5 Minuti di Lettura
Lunedì 17 Gennaio 2022, 00:01

Nel 1902, l’inventore e imprenditore americano Thomas Edison, quello passato alla storia per aver introdotto l’utilizzo commerciale delle lampadine, aprì nel New Jersey una fabbrica dedicata alla produzione di una tecnologia assai promettente: la batteria elettrica ricaricabile che alimentava un tipo di automobili che sembravano poter sostituire quelle che usavano motori a scoppio più rumorosi ed inquinanti. Quella battaglia non andò bene per Edison e dopo aver superato per diffusione le automobili alimentate con combustibili fossili, i veicoli elettrici scomparvero per decenni dalla memoria di una civiltà che stava diventando industriale. Dopo 120 anni siamo all’inizio di una transizione simile: all’ultima conferenza sul clima di Glasgow, 140 Paesi del mondo si sono impegnati ad azzerare le emissioni nette di anidride carbonica entro il 2050 e sono le stesse case automobilistiche che vinsero la battaglia contro Edison che promettono oggi di elettrificare l’intera propria flotta entro il 2035. Eppure, qualcosa sta andando storto: elettrificare troppo velocemente, senza considerare dettagli vitali può fermare anche questa trasformazione. Ed è questo il messaggio che arriva chiaro nelle case degli europei che leggono bollette di luce e gas aumentate del 55% e vedono in televisione Vladimir Putin giocare – ai confini con l’Ucraina – con l’Europa come un gatto farebbe con un topo.

Il punto ovvio che molte analisi sembrano ignorare è che l’elettricità non è necessariamente pulita. Essa fu concepita come efficiente veicolo di diffusione di energia che viene da fonti diverse e con un diverso potere inquinante. La mappa dell’Agenzia Internazionale per l’Energia che traccia per Paese la mappa delle origini e degli impieghi di energia dicono che, nel 2019, l’elettricità copriva il 20% del fabbisogno energetico del mondo (il petrolio valeva ancora il doppio), che il trasporto – quasi interamente alimentato da benzina e diesel – assorbiva circa un terzo dei consumi. Gli impianti che producono elettricità erano, a loro volta, alimentati per il 70% da fonti mediamente (Gas naturale) o altamente (carbone) inquinanti, mentre quelle rinnovabili (incluso le idriche) pesavano poco più di un quarto: in pratica l’energia solare ed eolica che dovrebbero essere il futuro perché a basso impatto, fornivano prima della pandemia poco più del 3% che serviva al mondo per girare e per più della metà venivano prodotte e consumate in Cina. 

In questa situazione la strategia per l’Europa è obbligata: spostare tutti verso l’elettrico e l’elettrico verso il sole e il vento (tenendosi le centrali nucleari francesi) e facendo, però, una tappa intermedia sul gas che inquina la metà del carbone e del petrolio. Ed è quello che in questi ultimi due anni sta succedendo a grande velocità producendo, però, pericolosi effetti collaterali. E dando un vantaggio strategico a chi – come la Russia – si può permettere di aspettare gli errori dell’avversario. È proprio l’Ucraina ad essere, del resto, attraversata da un gasdotto – i sovietici lo chiamarono con involontaria ironia “della fratellanza” – che collega all’Austria la città di Nadym dove la temperatura in questi giorni può arrivare a meno 50 gradi e Gazprom ha uno dei suoi impianti più importanti. L’Europa importa più del 40% del gas dalla Russia ed è una dipendenza che può persino aumentare quando sarà completo l’altro gasdotto (North Stream) che farà arrivare l’oro blu degli oligarchi direttamente in Germania. Nel frattempo, però, il prezzo del gas naturale è andato fuori controllo – non aveva mai superato i 30 dollari al megawatt negli ultimi dieci anni e da quattro mesi balla tra i 65 e i 140 - e da Mosca ricordano che se decidessero di chiudere i rubinetti, finiremmo, come commentava la rivista finanziaria Bloomberg, per congelare.
Quali alternative allora ha l’Unione Europea per non far deragliare quello che non è solo un sogno ma una battaglia per la sopravvivenza? Ridurre la dipendenza dal gas – e in particolar modo russo – prevede almeno cinque possibilità che vanno composte in una strategia vera.

Diversificare le esportazioni chiedendo agli Stati Uniti meno retorica e più impegno concreto sulla fornitura di gas naturale liquido (Lgn) per accogliere il quale è necessario dotarsi di attracchi adeguati. Accelerare sulle rinnovabili (esse includerebbero anche i rifiuti se fossimo intelligenti) che significa costruire filiere industriali europee (dai pannelli alle batterie) e in Paesi come l’Italia sciogliere il nodo di permessi all’installazione di impianti, negati con motivazioni paradossalmente ambientali. Ridurre gli sprechi, utilizzando le tecnologie che consentono di condividere risorse scarse e disegnando incentivi all’efficienza più precisi dei nostri 110 per cento. Costruire riserve di combustibile per far fronte a strozzature dell’offerta e definire regole nuove per un mercato basato su fonti energetiche meno stabili di quanto non lo fossero i vecchi giacimenti di petrolio. Aumentare l’affidabilità delle rinnovabili investendo nell’immagazzinamento e la cessione (attraverso reti – “smart grid” – che consentono ad un qualsiasi consumatore di trasformasi in produttore) di quote di elettricità in eccesso tra famiglie, città e Paesi. 

Centoventi anni dopo siamo, di nuovo, all’inizio di una transizione che può cambiare profondamente il mondo. Oggi come allora rischiamo di fermarci però se facciamo prevalere gli annunci sull’attenzione ai dettagli. Se non uniamo alla visione il pragmatismo di chi vuole vincere, daremmo un vantaggio a chi non ha la necessità di costruire futuro. La differenza rispetto al mondo di Edison che, stavolta, siamo costretti a non sbagliare perché in gioco c’è la sopravvivenza stessa della società che abbiamo costruito.

www.thinktank.vision

© RIPRODUZIONE RISERVATA