Romano Prodi
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Lavori flessibili/Il nodo dell’età quando la pensione è più vicina

di Romano Prodi
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Domenica 26 Luglio 2020, 00:08
Il calo delle nascite è uno dei più gravi problemi per la maggior parte dei Paesi sviluppati, con tutte le conseguenze che comporta in termini sociali ed economici. Le politiche di sostegno alle famiglie sono in molti casi deboli o quasi inesistenti e necessitano certamente di un rafforzamento. Bisogna tuttavia ammettere che anche le migliori politiche familiari faticano a invertire questa tendenza. 

Il problema della bassa natalità e del conseguente invecchiamento della popolazione, anche se in Italia si presenta con una particolare drammaticità, è ormai caratteristica comune a tutti i Paesi industrializzati e, probabilmente, si estenderà in modo graduale a tutto il pianeta, seppure con sfasamenti che produrranno effetti drammatici. 
È come se l’umanità, vissuta per un infinito numero di generazioni in un equilibrio di alte nascite e alte morti e dopo un’esplosione di una decina di generazioni caratterizzate da alte nascite e basse morti, stia faticosamente ricercando un suo nuovo equilibrio, con nascite sempre più limitate ed un progressivo prolungamento della vita media.
L’adattamento a questa realtà, che ci accompagnerà a lungo nel tempo, costituisce uno dei problemi più difficili da risolvere. Le sue conseguenze vengono inoltre aggravate dal fatto che le istituzioni e le regole che guidano la vita economica e sociale non vogliono adeguarsi a questa nuova realtà. 

Nessuno sembra essere in grado di gestire il problema del progressivo invecchiamento della popolazione. Nella maggior parte dei casi (anche se con scarso successo in Italia) lo si affronta adeguando l’età del pensionamento all’aumento della vita media della popolazione. Questo avviene però adottando regole rigide e uguali per tutti, in risposta a un fenomeno, come l’invecchiamento, che invece non ha regole e si esprime con caratteristiche diverse da persona a persona. Adottando regole rigide non si riuscirà mai a mettere a frutto le energie vitali che l’uomo può esprimere al proprio servizio e al servizio della società.

Qualsiasi sia il limite di età, decidere a priori il giorno della pensione è un passaggio innaturale. Lo è per chi sperava di terminare anni prima la fatica del lavoro e per chi, al contrario, ritiene di avere davanti a sé la prospettiva di essere ancora utile e produttivo per molto tempo: non vi è ragionevolezza nell’applicare regole uguali a situazioni diverse.

In una società che invecchia in modo così differente, come quella in cui stiamo vivendo, l’unico obiettivo degno di essere perseguito è cancellare dal calendario la data fissa del pensionamento, cercando di adattare la legge alla vita e non la vita alla legge.

Un obiettivo in teoria semplice ma tremendamente difficile: è tuttavia possibile e doveroso compiere i passi necessari per avvicinarsi ad esso. 

Un primo avvicinamento, solo parziale, è naturalmente quello di costruire un’uscita dal mondo del lavoro in modo progressivo, adattandola quindi ai cambiamenti della natura ed evitando l’abituale dramma di un istantaneo passaggio dal tempo pieno allo zero assoluto, senza pensare alla possibilità di infinite modulazioni intermedie. Esiste il metà tempo ed esistono mille altre combinazioni: l’importante è rendere possibile l’uscita flessibile e progressiva dal mondo del lavoro.

Tutto questo implica cambiamenti organizzativi di enorme portata. Tuttavia la pandemia in corso ci ha almeno insegnato che, di fronte ad uno stato di necessità, si possono fare in brevissimo tempo progressi prima ritenuti impossibili, come è avvenuto riguardo al lavoro a distanza. 

Se diverse sono le caratteristiche delle persone e diverse le mansioni, la flessibilità dell’orario di lavoro deve essere ovviamente accompagnata da uno sforzo per rendere il lavoro compatibile con il mutamento delle caratteristiche delle singole persone. Se un pur ottimo insegnante, arrivato in età matura, non è più in grado di gestire una classe di ragazzi scatenati, esso può utilmente svolgere mansioni amministrative, occuparsi di progetti o di cura individuale per gli studenti. Esempi di questo tipo possono essere estesi a tutte le funzioni, basta avere il desiderio e la possibilità di procedere alle necessarie sperimentazioni.

Sto naturalmente ipotizzando un mondo del tutto diverso da quello attuale, nel quale l’uniformità delle regole e dei comportamenti costituisce l’obiettivo primario del legislatore, dei sindacati e della maggioranza di coloro che si trovano in posizione di responsabilità. 

L’uniformità è infatti la regola meno rischiosa per esercitare l’autorità, ma è anche il modo per allontanarsi dalle esigenze di una società che, anche e soprattutto in conseguenza della lunga durata della vita attiva, deve operare con protagonisti non solo diversi tra di loro, ma che cambiano nelle fasi della loro vita. 

Almeno in teoria i nuovi strumenti tecnici di cui disponiamo dovrebbero molto facilitare questi processi di adattamento, ma nessuno strumento tecnico è in grado di produrre miglioramenti se il peso del passato impedisce di impiegarli per il beneficio dei singoli e della collettività. Proporre, come avviene oggi, quote fisse tra lavoro in presenza e lavoro a distanza è il tipico esempio dell’incapacità di interpretare il mondo che cambia. 

Certamente una società uniforme pone meno problemi di una società che cerca di incontrare le esigenze delle persone reali perché sembra essere più facilmente governabile. Questo è l’errore che ha progressivamente indebolito la maggior parte dei sistemi democratici, che sono invece nati per venire incontro alle diversità della natura umana.

Deve essere infine chiaro che, come dimostra l’esperienza di tanti Paesi, la disoccupazione giovanile non è correlata ai tassi di occupazione degli anziani: la difficoltà a generare nuovo lavoro deriva soprattutto dalla mancanza di idee su come organizzare il lavoro esistente. 



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