Paolo Balduzzi
Paolo Balduzzi

Ricostruire il nostro Pil con misure strutturali

di Paolo Balduzzi
4 Minuti di Lettura
Giovedì 14 Maggio 2020, 00:42 - Ultimo aggiornamento: 18 Maggio, 14:42
Quante opportunità; ma anche quante incognite dall'approvazione del decreto che dovrebbe rilanciare il Paese. Il provvedimento, varato ieri sera dal governo e ora indirizzato al Parlamento per la conversione in legge, mette sul piatto ulteriori 55 miliardi di euro, oltre ai 25 miliardi già stanziati lo scorso marzo dal decreto Cura Italia. 
Una dimensione di risorse che non ha precedenti nella storia recente del nostro Paese e che ha tutte le potenzialità per introdurre le misure shock di stimolo all'economia che chiediamo da tempo, nonché quelle necessarie e contingenti per sostenere il sistema sanitario del Paese e, in ultima istanza, la vita di imprese, famiglie e individui. 
Giusto per avere un termine di paragone, il decreto Salva Italia del 2011 valeva circa 30 miliardi di euro, per la maggior parte finanziati da aumento delle entrate e dolorosi ma talvolta necessari tagli alla spesa (la riforma Fornero delle pensioni).
Mentre, andando indietro più indietro nel tempo, fu la finanziaria lacrime e sangue del Governo Amato (1992) a mobilitare risorse per allora 93 mila miliardi di lire, una cifra non molto distante dai circa 40 miliardi di euro di questi tempi. Una differenza che però marca il segno tra questa misura e le precedenti è che gran parte di questi fondi deriveranno da nuovo debito, un deficit previsto per il 2020 del 7,1% e un aumento del rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo a oltre il 155%. 
Ma perché si tratta di un'occasione più unica che rara, seppur dettata da una drammatica emergenza? Perché interventi di questi tipo non sono stati fatti anche in passato? Ovviamente per gli indubbi vincoli posti dall'Unione Europea, proprio quelli che stavolta - parliamo del Patto di Stabilità - sono stati doverosamente sospesi in seguito alla recessione generata dal Covid. 
Il problema maggiore, invece, è proprio squisitamente interno ed è legato ai rischi potenziali generati dalla mancanza di coraggio e di visione strategica del legislatore. Ed ora che il re è nudo e che i vincoli europei non esistono più, ora che di fronte al legislatore si apre una finestra di opportunità, la navigazione dipende esclusivamente da noi, dalla nostra capacità di procedere senza farci affondare da Scilla e Cariddi, i due mostri che mettono a rischio la nostra sicurezza. Il primo pericolo: l'eterna rincorsa al breve periodo e al consenso elettorale. Un problema comune e diffuso, sia chiaro, negli ultimi decenni a sinistra come a destra.
Alimentatosi per anni fuori dal palazzo di populismo e di retorica anti casta, alla prova dei fatti il Movimento Cinquestelle ha scoperto che misurarsi con la realpolitik, con l'esigenza del compromesso, con la gestione del potere, nonché con i vincoli di bilancio, crea indubbie crisi di consenso. Quale migliore opportunità per cadere nell'assistenzialismo più elettorale, per mettere in conto agli italiani la necessità di recuperare i propri voti, scomparsi nel giro di pochi mesi? Anche il Partito democratico potrebbe essere tentato di prosciugare i voti dell'alleato ormai in crisi di identità e portatore fino a un anno fa di consensi strategici nella base sociale tradizionalmente della sinistra, rincorrendolo dunque proprio sullo stesso terreno. 
Qui entra in gioco il secondo pericolo, quello relativo ai contenuti: la cura shock che serve al paese non può essere innervata solo di provvedimenti tampone e di bonus, ma soprattutto di riforme e di interventi strutturali, non solo di assistenza contingente all'emergenza ma anche di investimenti con effetti nel medio e lungo periodo. Come, solo per fare un esempio, interventi strutturali sul sistema tributario, in particolare per favorire i redditi da lavoro e l'occupazione. O sbloccare le grandi opere utili e strategiche, potenziando le infrastrutture che da decenni richiedono una scossa.
Servono misure che non droghino soltanto la crescita prevista per il 2021 ma che la sostengano anche negli anni seguenti. E che colmino il ritardo con cui arriviamo a questa emergenza e a questo periodo di straordinarietà: perché un Paese con una struttura economica produttiva adeguata è in grado di riprendersi in fretta e di attutire le crisi. Questa emergenza ci ha insegnato che ciò che sembrava impossibile è diventato improvvisamente la normalità: il lavoro da casa, la comunicazione digitale con la pubblica amministrazione, la didattica a distanza.
Perché dunque non pianificare che diventi normalità quella di avere una politica coraggiosa e lungimirante? Anche perché, quando l'emergenza sarà terminata, la solidarietà europea tornerà a lasciare spazio alle regole fiscali e alla concorrenza tra paesi, che si impegneranno e competeranno per attrarre investimenti, per stipulare accordi commerciali strategici, per valorizzare capitale umano. Il paese dovrà farsi trovare pronto e credibile, su un sentiero di contenimento del debito e di stabile crescita economica. In caso contrario, il declino e il disastro saranno stati solo rimandati di qualche anno.
© RIPRODUZIONE RISERVATA