Paolo Balduzzi
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L’economia riparte/ L’unità del Paese che aiuta la crescita

di Paolo Balduzzi
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Giovedì 24 Giugno 2021, 01:22

Richiama prudenza ed evita di enfatizzare troppo la parola “ottimismo”. Ma se non è davvero ottimismo poco ci manca per descrivere il clima suscitato dalle parole del Presidente del Consiglio pronunciate ieri in Parlamento. I dati economici lo confermano: le previsioni ufficiali di crescita dell’economia nel 2021 e nel 2022 sono ottime (4,2 e 4,4% rispettivamente) e, addirittura, potrebbero essere riviste in meglio. Soprattutto, la fiducia di cittadini  e imprese è in aumento e, per queste ultime, ha raggiunto i livelli del 2018. È una fiducia che appare fondata: l’indice della produzione industriale è in aumento; la protezione della capacità produttiva, che ha occupato e sta occupando ingenti risorse, ha dato i suoi frutti. E anche la protezione dei redditi più esposti e dei posti di lavoro, almeno finora, ha retto.

Certo, non bisogna dimenticare che numerose aziende non riapriranno, che molte persone non lavorano più e che la fine del blocco dei licenziamenti si avvicina. Ma proprio recuperare questi soggetti sarà una delle sfide dei prossimi mesi. Crescono – anzi, esplodono – le esportazioni, una voce cruciale nella nostra bilancia commerciale: sia rispetto al 2020 sia rispetto a due anni fa, quando la pandemia non era ancora cominciata.
L’Italia può dunque ripartire; anzi, è già ripartita. E lo fa innanzitutto partendo dal cuore del Paese: secondo i dati del report Istat sulle esportazioni delle regioni italiane, il centro Italia guida infatti proprio la crescita dell’export, sia su base congiunturale (+4,8%) sia su base annua (+9,9%), surclassando anche il settentrione. Spiccano, in particolare, i contributi di Abruzzo e Lazio. A ben vedere, una delle chiavi della ripartenza potrebbe essere proprio l’unità. Unità prima di tutto politica: il clima di fiducia di queste settimane non può essere semplicemente frutto delle riaperture.

Nonostante le differenze tra le varie anime della maggioranza, questo governo di (quasi) unità nazionale permette di mantenere bassa la tensione sociale e di istituzionalizzare molti degli scontri possibili. Ma unità anche in senso geografico: il Paese non potrà davvero ripartire se alcuni territori verranno di nuovo e ripetutamente esclusi. È quindi fondamentale che i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), approvati anche dalla Commissione europea, contribuiscano allo sviluppo di tutto il Paese e, in particolare, siano dedicati a colmare quei vuoti strutturali e quasi atavici – di infrastrutture, ma anche di legalità – delle aree più svantaggiate e impoverite del Paese.

Solo in questo modo sarà possibile “superare in maniera duratura e sostenibile quei tassi di crescita anemici che l’Italia registrava prima della pandemia”, per usare le esatte parole del premier.

Certo, permangono alcuni rischi. Fa bene Draghi a non sottovalutarli nel suo discorso. E bene farebbero il Paese e le forze politiche a fare altrettanto. Innanzitutto, il peso del debito pubblico. Non si tratta di un problema nuovo, sia chiaro. Anzi, dal 1997 in poi, anno di ammissione dell’Italia all’Unione monetaria europea, l’elevato rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo (Pil) ha costituito di fatto la cifra del nostro Paese, la fonte di preoccupazione principale dei nostri partner europei e il bersaglio più semplice per le critiche degli Stati più fiscalmente rigorosi. La scommessa italiana è che il debito contratto nei prossimi mesi e anni sia tutto debito “buono”, per usare una espressione resa celebre dallo stesso Draghi, e capace di innescare gli adeguati moltiplicatori di crescita economica. Un secondo pericolo, squisitamente economico, è quello dell’inflazione. Che non è certo da sottovalutare ma nemmeno da enfatizzare. I sospetti che si tratti di un fenomeno temporaneo sono parecchi: l’offerta aggregata in calo a causa della pandemia e la domanda aggregata in ricrescita dopo la stessa portano proprio in quella direzione. In questo passaggio del discorso si ritrova molto del Mario Draghi ex governatore della Banda d’Italia ma soprattutto ex presidente della Banca centrale europea, con il suo obiettivo statutario di inflazione non superiore al 2%. 

Un terzo pericolo è che si dia ormai per scontata la fine della pandemia. I vaccini, le dolorose chiusure, la rinuncia alle nostre libertà ci hanno permesso di vivere un’estate tranquilla. Ma il vero banco di prova sarà il prossimo autunno. È importante non abbassare la guardia e prepararci a nuovi, seppur limitati, sacrifici. 
Un ultimo pericolo, solo accennato dal Presidente del consiglio, è infine quello di considerare come ormai compiuto l’obiettivo del Pnrr. È vero esattamente l’opposto: la sfida del Pnrr comincia oggi. È importante monitorarne i progressi e il cronoprogramma, nonché ricordarsi della necessità delle riforme strutturali promesse. Per due motivi. Il primo è che il fallimento degli obiettivi dichiarati farebbe decadere le garanzie europee concesse sui prestiti. Il secondo, meno formale ma più sostanziale, è che non possiamo permetterci di sprecare questa occasione irripetibile per modernizzare il Paese

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