Romano Prodi
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Caso Credit Suisse/ La crisi delle banche e l’immagine della Svizzera

di Romano Prodi
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Sabato 1 Aprile 2023, 00:22

A tre settimane dall’inizio della crisi bancaria che ha coinvolto la Silicon Valley Bank negli Stati Uniti e il Credit Suisse nella vicina repubblica elvetica, è doveroso fare qualche riflessione non tanto sugli aspetti tecnici di questa crisi, quanto sulle sue conseguenze. Tre settimane sono poche per trarre conclusioni definitive, anche perché il terremoto è stato così violento che non si possono escludere altri episodi sismici o, perlomeno, possibili scosse di assestamento. La prima osservazione è che i tempi in cui si lasciavano fallire le banche sotto la spinta del mercato appartengono definitivamente al passato. La rottura di questo passato era già avvenuta durante la crisi finanziaria iniziata nel 2008, ma oggi, soprattutto a causa dell’impressionante aumento di importanza del settore finanziario e bancario nell’economia mondiale, il salvataggio pubblico viene ritenuto non solo possibile, ma doveroso. 

D’altra parte l’ex governatore della Banca d’Inghilterra Mervyn King aveva già inquadrato il problema affermando che le grandi banche sono globali quando sono in vita, ma diventano improvvisamente nazionali in punto di morte. È quindi un fatto assodato che, per qualsiasi governo, è impossibile astenersi dal salvare le proprie banche. I mercati sono infatti così legati fra di loro che il fallimento di un singolo istituto, anche di medie dimensioni, rischia di produrre un contagio globale. Naturalmente, quando un governo interviene non tiene conto solo del salvataggio della banca in questione, ma soprattutto dei suoi interessi interni e internazionali, anche violando le regole esistenti. Nel caso americano si è infatti estesa l’assicurazione ai depositi superiori ai 250 mila dollari che in precedenza non erano assicurati. 

Nella vicenda del Credit Suisse le violazioni sono state ancora maggiori. Le autorità elvetiche non si sono limitate a rendere disponibili 54 miliardi di dollari per arginare la crisi e garantire alla banca acquirente (Ubs) nove miliardi in caso di ulteriori perdite, ma hanno fatto gravare le conseguenze del fallimento in primo luogo sui detentori di obbligazioni subordinate (denominate AT19, Additional Tier One), conservando invece un valore alle azioni che, secondo le regole, avrebbero per prime dovuto sopportare le perdite. Il tutto per non contrariare in modo eccessivo i Paesi di appartenenza dei maggiori azionisti: in primo luogo l’Arabia Saudita e il Qatar, ma anche gli Stati Uniti, dove l’irritazione di alcuni azionisti è arrivata al punto di definire la Svizzera come una Repubblica delle banane. Come conseguenza di tutto questo abbiamo assistito a una violenta reazione politica interna alla Svizzera, con l’accusa al governo di avere cambiato le regole esistenti senza alcun processo democratico e senza coinvolgere il parlamento. A questo si è accompagnata una reazione altrettanto negativa da parte dei maggiori azionisti, del tutto sorpresi dal non essere stati minimamente coinvolti nella gestione della morte della loro grande banca che, essendo stata per 167 anni uno dei pilastri fondamentali della Svizzera, era ritenuta sostanzialmente immortale. Nel caso di Credit Suisse, infatti, si sono frantumate tutte le regole che da sempre governano i mercati finanziari, ma bisogna ammettere che la dimensione del problema era così grande per cui, se non affondavano le regole, affondava la Svizzera, che è per definizione inaffondabile.
Nello stesso tempo è ovviamente iniziata, soprattutto da parte dei Paesi del Golfo, un’azione volta ad attrarre la maggiore quantità possibile delle attività finanziarie collocate negli istituti svizzeri. 

Questo non significa che sia arrivata una crisi fatale del sistema finanziario elvetico.

La Svizzera possiede risorse e capacità che vanno oltre il Credit Suisse, tanto è vero che, in questo periodo di turbolenza, si è persino assistito ad un aumento delle quotazioni di alcune raffinate banche concorrenti. Anche se è passato troppo poco tempo per un giudizio definitivo, la fiducia nel sistema finanziario svizzero ha tuttavia ricevuto un danno di grande rilevanza e non facilmente rimediabile, almeno nell’immediato futuro. Un altro tema di riflessione riguarda il fatto che, anche se la banca frutto della fusione fra Credit Suisse e Ubs raggiunge quasi un terzo del mercato bancario svizzero e gestisce risorse pari al doppio del Pil dell’intero Paese, non è passata nella testa di nessuno l’idea che il gigante nato da questa fusione possa essere oggetto di un’indagine antitrust. A volte, anche nei sistemi a economia di mercato, si creano situazioni nelle quali il problema della concorrenza non esiste.

Un’ultima considerazione riguarda il fatto che, pur essendovi anche banche appartenenti all’area dell’euro che hanno debolezze e fragilità (come è recentemente emerso nel caso della Deutsche Bank) la diligente e spesso ossessiva sorveglianza da parte della Bce, la Banca Centrale Europea ha, fino ad oggi impedito che si verificassero le crisi bancarie improvvise e senza rimedio che sono avvenute in altri sistemi economici. 
E’ chiaro che niente garantisce che la cosiddetta Area euro sarà in futuro immune da questi contagi, ma è almeno doveroso constatare che, almeno fino ad ora, le misure preventive hanno evitato gli errori cumulativi che hanno portato ai disastri sui quali abbiamo brevemente riflettuto. 
Ci dobbiamo soltanto augurare che quest’azione di prevenzione possa anche in futuro proteggere in modo efficace i nostri risparmi.

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