Francesco Grillo
​Francesco Grillo

Sfida da vincere/ Il disastro della Brexit e il dialogo con l’Europa

di ​Francesco Grillo
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Mercoledì 8 Febbraio 2023, 00:03

Ciò che rende unica la lirica di William Shakespeare è la costruzione – in 39 tra tragedie cupe e scoppiettanti commedie – di trame che tra complotti ed equivoci portano i lettori in mondi fantastici. Complotti ed equivoci che, come nella parabola di Re Lear, hanno portato il Regno Unito a infilarsi da solo in una crisi dalla quale non è facile uscire. La Brexit può, secondo alcuni, portare alla disintegrazione finale di quello che fu il più grande impero della storia. E, tuttavia, conviene agli inglesi, ma anche agli europei trovare le idee per concepire un rapporto nuovo tra un’isola ed un continente che hanno trovato identità attorno ad un legame contraddittorio ma forte. Meno 0,6%. È questa la previsione sull’evoluzione del Prodotto Interno Lordo del Regno Unito per il 2023, che il Fondo Monetario Internazionale ha comunicato proprio nel giorno in cui si celebra il terzo anniversario della Brexit. Il Regno Unito è l’unica tra le venti maggiori economie che – nell’anno in corso – andrà in recessione sul serio, superando in discesa la stessa Russia. Una botta che può fare da preludio a guai ancora peggiori: come preannunciato dal giorno successivo al famoso referendum del giugno del 2016, la Brexit ha rafforzato l’intenzione del Partito nazionalista scozzese di chiedere un nuovo referendum per uscire dal Regno Unito per poter, poi, entrare nell’Unione Europea.

Quello che era il centro del mondo, sembra poterne diventarne una periferia rimpicciolita. Con somma soddisfazione di quanti hanno, in fondo, sempre invidiato all’isola, una capacità di esercitare un’ “egemonia culturale” che solo gli Stati Uniti hanno così forte. Dall’anno in cui il Regno Unito entrò nella Comunità Europea (1973), vengono pubblicati sondaggi (i principali sono degli istituti di ricerca Yougov e Ipsos) che ogni mese pone la stessa domanda alla quale i britannici furono chiamati a rispondere nel 2016: votereste a favore o contro la partecipazione del vostro Paese all’Unione Europea? L’opinione pubblica britannica è stata sempre spaccata in due metà quasi uguali. Oggi quelli che rimarrebbero nell’Unione sono la maggioranza (48%), ma gli irriducibili della Brexit sono al 40. 

Del resto, un numero crescente di elettori britannici è convinta che il problema non sia stato decidere di lasciare l’Unione, ma come siano state gestite le conseguenze prevedibili di quella scelta (ad esempio, nel sistema sanitario e negli aeroporti lasciati senza lavoratori europei). Cresce, infatti, tra i partiti politici il nuovo Partito – Reform Uk – che sta mangiando elettorato dei conservatori al governo, accusandoli di aver tradito la Brexit. Opinione non dissimile circola tra non pochi “esperti”: quelli che si interessano di regolamentazione del digitale ritengono, per esempio, che il Regno Unito potrebbe costruire sul vantaggio di essere sottratto alla “burocrazia” europea, un quadro normativo più capace di attrarre i giganti. 

Cresce, dunque, il pentimento, ma è irrealistico pensare ad un ritorno del Regno nell’Unione in tempi brevi.

Anche perché non c’è nessuno tra i capi di Stato che non vede l’ora di riabbracciare gli inglesi. E allora? E allora serve uno sforzo di pragmatismo e di creatività per costruire un rapporto di tipo nuovo che tanto serve a nord di Dover e che, però, serve anche per chi vive più a sud di Calais. I riferimenti alla Norvegia – che con l’Unione Europea condivide un’area economica di libera circolazione di merci, capitali e persone – o quello alla Turchia – che si limita ad avere in comune con Bruxelles un’unione doganale che esclude i prodotti agricoli – non sono sufficienti. La strada deve essere certamente quella della circolazione libera di merci di cui hanno bisogno sia i produttori di vino italiani che i dirigenti della Jaguar. E delle persone, con permessi di lavoro selettivamente concessi come pretendono gli inglesi quando votano, ma che si espanderebbero inesorabilmente a molte posizioni gli inglesi stessi chiedono quando cercano un’infermiera. 

Per tornare alla mobilità dei capitali bisogna ripartire invece da un più complesso negoziato di cooperazione che può ripartire dal ruolo dell’Autorità Bancaria europea (Eba) che aveva sede a Londra fino al 2019.
Se prevalesse il buon senso di costruire un mercato unico - progressivamente e flessibilmente - più ampio, il rompicapo dell’Irlanda del Nord (rimasta sospesa) verrebbe rimosso e a tale prospettiva non potrebbe non aggiungersi subito il riavvio della piena integrazione del sistema di università e ricerca come chiedono sia l’università di Bologna che quella di Oxford. In fondo certi rapporti non li ha spezzati neppure la Brexit: gli astronauti dell’agenzia spaziale europea sono anche inglesi, ed è ispirato al lavoro del premio Nobel Higgs quello condotto dagli acceleratori di particelle del Cern finanziato dalla stessa Londra. 

Ricostruire un rapporto nuovo tra Regno Unito e Unione Europea significa anche riconoscerci reciprocamente valore. È vero che con la Gran Bretagna sarebbe stato più difficile varare il Next Generation Eu. Ma è anche vero che il loro pragmatismo ci avrebbe forse aiutato a evitare certe rigidità che rendono fragile quell’operazione. In fondo, il futuro dell’Unione sarà, ancora di più che non oggi, quello di essere piattaforma sulla quale costruire partnership che legano gruppi variabili di Paesi attorno a obiettivi precisi.
Immaginare un rapporto nuovo con i nostri scomodi ma simpatici vicini, è una delle sfide che l’Unione deve vincere.

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