Cesare Mirabelli

Legge elettorale/ Il Parlamento decida da solo sulle nuove regole del gioco

di Cesare Mirabelli
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Lunedì 13 Gennaio 2020, 00:12
Sono in campo due richieste di referendum, diverse per oggetto e funzione, eppure entrambe sintomo di un malessere delle istituzioni, dal cui circuito interno le iniziative provengono. Difatti le richieste non hanno origine dalla raccolta di firme degli elettori, come è invece avvenuto in passato nella gran parte dei casi, ma dalle stesse istituzioni rappresentative.

In un caso si tratta di un referendum confermativo, che ha ad oggetto la legge di revisione della costituzione, votata dal Parlamento ma non ancora entrata in vigore, che riduce il numero dei componenti della Camera, dagli attuali 630 a 400, e del Senato, dagli attuali 315 a 200. La singolarità è che a chiedere la verifica popolare siano settantuno senatori, molti dei quali hanno votato a favore delle legge; non cinquecentomila elettori, come egualmente la costituzione consente.

Si utilizza un appello al popolo contro una deliberazione legislativa parlamentare, previsto a garanzia della costituzione e a tutela delle minoranze, come strumento dichiaratamente rivolto a stimolare l’effetto politico di un possibile scioglimento del Parlamento e di elezioni anticipate. Non si afferma un vistoso pentimento rispetto al voto di approvazione della legge, che ciascuno dei promotori del referendum abbia espresso in Assemblea.

Eppure non mancano buoni argomenti di ripensamento, quali gli effetti che la riduzione della composizione del Parlamento, e la sua ampiezza, può avere per la rappresentanza delle comunità territoriali, particolarmente in Senato, o la mancanza di collegamento con una qualsiasi idea di efficienza o di riforma delle istituzioni. Piuttosto, si mantiene l’affermazione, ritenuta popolare, della riduzione del numero dei parlamentari, ma si prospetta la attrattiva dello scioglimento delle Camere e delle elezioni prima che entri in vigore la riforma che attende il voto popolare, consentendo così di mantenere il loro numero nella maggiore consistenza attualmente prevista.

[/FORZA-RIENTR]La seconda richiesta di referendum, la cui ammissibilità sarà esaminata dalla Corte costituzionale il 15 gennaio, riguarda le leggi per le elezioni della Camera e del Senato. Anche in questo caso il referendum non è richiesto da cinquecentomila elettori, ma dai Consigli regionali di Veneto, Piemonte, Lombardia, Friuli-Venezia Giulia, Sardegna, Abruzzo, Basilicata e Liguria.

La costituzione prevede che cinque Consigli regionali possono chiedere la indizione di un referendum popolare per deliberare la abrogazione totale o parziale di una legge. Probabilmente la fantasia dei costituenti non arrivava a immaginare che le Regioni si attivassero per poter determinare con lo strumento referendario modifiche alle leggi elettorali della Camera e del Senato, organi costituzionali di massima rappresentanza della sovranità, ai quali le Regioni sono estranee. Pur se l’iniziativa è, sotto questo aspetto, formalmente legittima, qualche dubbio lo solleva quanto ad eleganza istituzionale. Tanto più che si presenta come una scorciatoia, rispetto alla raccolta di cinquecentomila firme di elettori, ed è orientata ad ottenere per via referendaria una modifica delle due leggi elettorali che si intende depurare di quanto assicura in esse una quota proporzionale, in modo da orientare in senso nettamente maggioritario i sistemi elettorali di Camera e Senato.

Per ottenere questo risultato, i quesiti referendari sono costruiti “a ritaglio”, eliminando dal testo delle leggi parole o parti di frasi, in modo che il testo che residua vada nella direzione auspicata. Proprio questo può dar luogo a problemi, perché la costituzione prevede che il referendum popolare sia ammesso per abrogare leggi o parte di legge, non per introdurre nuove e diverse disposizioni, quali potrebbero risultare dalle operazioni di “ritaglio” e manipolazione delle frasi. Si può pure trattare di un quesito che, in rispondenza ai requisiti di ammissibilità sempre seguiti, è chiaro, manifesta in modo univoco le finalità e, trattandosi di legge elettorale, all’esito dell’eventuale abrogazione mantiene la dotazione di una legge elettorale operante. Resterebbe sempre da valutare se l’eventuale cancellazione di parole o parti di frase determini non la espansione di norme esistenti, ma la introduzione di un nuovo sistema maggioritario, la cui competenza è propria del Parlamento.

È compito del Parlamento dare un ragionevole assetto alle leggi per la sua elezione, trovando un giusto e stabile equilibrio tra i due principi, di rappresentatività e di governabilità. Il corretto bilanciamento è possibile partendo sia da sistemi proporzionali sia da sistemi maggioritari, e può essere stabilmente ottenuto se si abbandonano impostazioni opportunistiche, orientate a favorire alchimie politiche, o ad avvantaggiare le occasionali maggioranze e contenere le opposizioni.

Se il Parlamento non riesce ad aprire e condurre un dibattito approfondito, genuinamente orientato a trovare in questa materia regole comuni, si manifesta evidente il malessere delle istituzioni. La via referendaria segnala una difficoltà nel suo funzionamento, se il Parlamento attende, in questa come in altre materie, il soccorso esterno per decisioni politiche che gli sono proprie.
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