​Cesare Mirabelli

L’Autonomia tradisce la Costituzione. Ecco perché

di ​Cesare Mirabelli
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Mercoledì 24 Luglio 2019, 00:11
La richiesta della Lombardia e del Veneto, oltre che dell’Emilia-Romagna, di ottenere «forme e condizioni particolari di autonomia», differenziate rispetto alle altre Regioni a statuto ordinario, anima le polemiche politiche di questi giorni e manifesta, nella attuazione del principio autonomistico, una insidia. 
La Costituzione afferma che la Repubblica «riconosce e promuove» le autonomie territoriali, dando corpo al principio di sussidiarietà tra le istituzioni, per il quale i poteri connessi alla rappresentanza politica e alla pubblica amministrazione devono essere esercitati al livello di maggiore efficienza, vicinanza e controllabilità da parte dei cittadini. Allo stesso tempo la Costituzione stabilisce che la Repubblica, della quale Stato e Regioni sono componenti, è «una e indivisibile», affermando un principio che la Corte costituzionale ha considerato uno dei «principi supremi dell’ordinamento costituzionale», sottratto anche alla revisione della costituzione.
 
L’unità e indivisibilità non ha solamente carattere territoriale, vietando la secessione. Unità e indivisibilità sono elementi essenziali della comunità nazionale, nella quale si esprime, come dovere inderogabile dei cittadini e obiettivo delle istituzioni, la solidarietà politica, economica e sociale. 
Questi principi trovano espressione anche nel disegno costituzionale dei rapporti tra Stato e Regioni, e devono costituire le fondamentali linee guida per la attribuzione di una particolare autonomia alle Regioni che ne fanno richiesta. 

La Costituzione pone specifici limiti e vincoli di carattere formale e di sostanza. La legge che attribuisce le forme e condizioni particolari di autonomia deve essere approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di una intesa tra il Governo e i rappresentanti della Regione interessata. La specifica determinazione di queste “forme e condizioni” di autonomia non può essere rimessa, con delega al Governo, a successivi decreti legislativi, sui quali non si esprimerebbe un voto delle Camere di approvazione ed una maggioranza qualificata. 
L’autonomia differenziata è inoltre circoscritta nelle materie indicate dall’articolo 116 della Costituzione, che non possono essere integrate con il ricorso a questa procedura. In altri termini, la legge ordinaria non può ampliare le materie determinate dalla Costituzione, come invece si riscontra per le cinque Regioni a statuto speciale, il cui statuto è adottato con legge costituzionale. 

Altrettanto chiari sono i vincoli che la Costituzione pone dal punto di vista sostanziale. L’attribuzione dell’autonomia differenziata ad alcune Regioni deve rispettare i principi, espressamente richiamati dall’articolo 116 della Costituzione, del cosiddetto federalismo fiscale, stabiliti nell’articolo 119. Le Regioni, come gli altri enti territoriali, devono avere tributi propri e disporre di compartecipazione al gettito dei tributi statali riferibili al loro territorio. 
Ma questo non significa che ogni Regione deve ricevere e tenere per sé tutto quello che è prodotto nel suo territorio. Un “fondo perequativo” istituito dallo Stato deve riequilibrare la attribuzione delle risorse per i territori con minore capacità fiscale per abitante. Non basta che il fondo esista, deve essere dotato delle risorse necessarie per finanziare in tutte le Regioni, e negli enti territoriali, le funzioni pubbliche loro attribuite. 

È evidente, per esemplificare, che su Roma gravano gli oneri connessi all’essere capitale, funzione questa svolta nell’interesse dello Stato, e il cui finanziamento non può essere posto a carico della comunità cittadina. Inoltre lo Stato deve destinare risorse aggiuntive ed effettuare interventi speciali per rimuovere gli squilibri esistenti e promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale. Ancora una volta, per rispettare quanto la Costituzione prescrive, le risorse aggiuntive devono essere adeguate in relazione al fine da perseguire. 
Questo quadro rende evidente che l’autonomia differenziata è questione nazionale e non di interesse esclusivo delle Regioni che ne hanno fatto richiesta. È compito dello Stato, e per esso del Governo che costituisce il centro di imputazione unico e unificante delle trattative per le intese con le singole Regioni, avere una propria visione ed assicurare la compatibilità e la coerenza tra unità e autonomie. È un percorso stretto, che richiede un forte esercizio di ragionevolezza.

Il rischio è che l’autonomia differenziata costituisca uno strumento che consolida la divaricazione esistente o determina una nuova frattura nelle condizioni economiche e sociali del Paese. La frammentazione delle discipline e il permanere di Regioni svantaggiate si ripercuoterebbe anche sulla crescita di quelle più sviluppate.
Esiste anche una opportunità: procedendo con il rispetto delle forme, per gli obiettivi di valorizzazione delle autonomie e di garanzia della solidarietà che la Costituzione prevede, si potrebbe delineare, senza forzature nei modi, nei tempi e nei contenuti, una riforma non destinata, come è già accaduto in passato, a determinare nuovi conflitti e ad essere giudicata nel tempo negativamente anche da chi la ha promossa.
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