Carlo Nordio
Carlo Nordio

Oltre il caso Raggi/ Il garantismo come il coraggio chi non ce l’ha non può darselo

di Carlo Nordio
4 Minuti di Lettura
Venerdì 9 Novembre 2018, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 00:01
Il compromesso raggiunto ieri tra i contraenti del governo sulla prescrizione può esser interpretato, dal punto di vista politico, in molti modi, tutti diversi. Ma una cosa è certa: che sotto il profilo giuridico è poco più che un’aspirazione metafisica che sa di scherzo, se non proprio di turlupinatura.

La sospensione della prescrizione viene infatti rinviata al prossimo anno. E già questo è un pasticcio. Perché? Perché la nuova disciplina potrà valere solo per i reati commessi dal 2020 in poi; già con la legge attuale i reati si prescrivono, mediamente, in dieci anni; quelli più gravi in quindici, venti e anche più. Poiché le sentenze di primo grado interessate alla riforma interverranno, statisticamente, dopo il 2025, gli effetti della modifica saranno così dilazionali, diluiti e incerti da diventare platonici. 

Non per nulla il dottor Davigo, che si diceva l’avesse ispirata, ha detto sconfortato che ne vedrà gli effetti da morto. Naturalmente noi auguriamo all’amico Davigo che il Cielo gli consenta, come dice il Poeta, «pace e vecchiezza». Ma temiamo che stavolta sia inciampato nella verità. Gli effetti concreti, rispetto alla normativa attuale, si vedranno fra trent’anni. Ma questo è niente.

Essa (riforma) sarà - si dice - collegata (o subordinata?) alla riforma del processo penale, volto rendere i giudizi più rapidi, e le pene più certe. Qui siamo davvero nella vuota astrazione dell’intelletto speculativo. La stesura dell’attuale codice di procedura, firmato da Giuliano Vassalli trent’ anni fa, occupò due lustri di studi delle migliori menti giuridiche del Paese. Ne uscì, come sappiamo, un progetto modellato (in parte) sul processo accusatorio anglosassone, che peraltro fu subito demolito dalla Corte Costituzionale e dai forsennati e contraddittori interventi del legislatore. Ora si crede davvero che in un anno si possa elaborare e approvare un codice nuovo? Tanto vale credere all’asinello che vola. 

E infine: ammesso che questo nuovo codice veda la luce, di che tipo sarebbe? L’unica soluzione ,se non vogliamo tornare al vituperato e fascistissimo codice Rocco del 1930, sarebbe un vero codice accusatorio, che portasse a compimento il timido disegno di Vassalli. Insomma, un vero codice americano. Del resto, è proprio il sistema americano - sulla certezza della pena e l’inesistenza della prescrizione - quello patrocinato dai grillini e dai loro ispiratori. 

C’è tuttavia un piccolo particolare: che il sistema americano - come quello di tutti gli altri Paesi di cultura anglosassone - si regge su principi che fanno inorridire le anime belle del nostro giustizialismo: la discrezionalità dell’azione penale, la rigorosa separazione delle carriere, la presenza della giuria popolare, la distinzione tra il verdetto e la sentenza, l’uso quasi spregiudicato, ma pragmatico, dei riti alternativi , il divieto assoluto della reformatio in peius e, non ultima, l’elettività dei pubblici ministeri e persino dei giudici. 

A queste condizioni, anche l’abolizione della prescrizione potrebbe andar bene. In caso contrario, avremmo per l’ennesima volta una Ferrari usata, con il motore di una cinquecento obsoleta. Un’ipotesi da far rizzare i capelli a chi abbia una minima sensibilità civile.

Da ultima, una considerazione politica. Dei due contraenti di governo, la Lega ha fatto passi importanti sulla via del garantismo. Dopo aver esordito invocando il patibolo ed esibendo in Aula il cappio del carnefice, ha compreso i rischi di uno strapotere incontrollato della magistratura e dell’affievolirsi dei diritti individuali. Un po’ per assecondare Berlusconi, un po’ per sincera adesione ideologica, ha votato alcune riforme di stampo liberale. Sarebbe singolare se ora si adeguasse a programmi di estremismo giacobino. 

Ma anche i grillini si sono evoluti. Dopo aver sopportato sulla propria pelle i rischi di un’etica giudiziaria esasperata e autofagica, hanno convenuto che i primitivi proclami sugli effetti dell’informazione di garanzia e del rinvio a giudizio andavano mitigati e corretti. Il caso Raggi insegna , e noi siamo stati i primi a sostenere, impregiudicato il giudizio sulle capacità amministrative dell’interessata, la conservazione della sua carica fino al giudizio definitivo. Ora un minimo di coerenza richiederebbe che questi principi garantistici, lungi dall’esser smentiti, fossero consolidati e pienamente attuati nell’eventualità di una riforma globale. 

Sarà così? Ce lo auguriamo. Ma temiamo che tutta questa vicenda che di giuridico, ripetiamo, non ha assolutamente nulla, si risolva, o si dissolva, in una favola vuota, perché il tempo, oltre a esser portatore di prescrizione e di verità, è anche portatore di elezioni.
 
© RIPRODUZIONE RISERVATA