Carlo Nordio
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Il caso prescrizione/ La giustizia deciderà il destino dei giallo-verdi

di Carlo Nordio
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Lunedì 20 Maggio 2019, 00:00
Georges Clemenceau, nella sua geniale brutalità, diceva che non si raccontano mai tante frottole come dopo la caccia e prima delle elezioni. Ora noi non sappiamo se le contumelie e le accuse che quotidianamente si scambiano i due alleati di governo rappresentino una finta commedia per raccattare voti o un reale conflitto destinato a sfociare in una crisi.

Sappiamo però che mentre vi sono argomenti sui quali le parti possono arrivare a una transazione (aliquid datum aliquid retentum, direbbero i civilisti), su altre non è possibile trovare dei compromessi e tantomeno pasticciare. O si fa una cosa, o si fa il suo opposto: tertium non datur. E ora che abbiamo chiuso con il latinorum contrattuale vediamo il problema: che si chiama, tanto per cambiare, giustizia. 

Che i due contraenti abbiano idee diverse è ormai noto. Tuttavia, benché la Lega abbia lontane origini forcaiole – molti ricorderanno il cappio esibito in Parlamento durante tangentopoli – si deve ammettere che si è evoluta in senso liberale. Mantiene ancora, è vero, una sorta di feticistica tendenza alla creazione di nuovi reati, all’inasprimento delle pene e all’enfatizzazione della galera. Nondimeno l’evoluzione di Salvini verso un processo più garantista si è manifestata in alcune sue pronunce recenti.

Queste ultime riguardano la riaffermazione di presunzione di innocenza, la revisione delle intercettazioni, la separazione delle carriere, e più in generale la riforma del processo penale. E questo è il punto più importante: perché a questa riforma è vincolata l’entrata in vigore della legge sulla prescrizione, approvata agli inizi dell’anno. 
Questa legge, apparentemente orientata ad evitare l’impunità dei delinquenti, è in realtà un mostro giuridico che colpirà soprattutto le vittime dei reati. Essa consiste, come è noto, nella sospensione della prescrizione dopo la sentenza, anche assolutoria, di primo grado. Con la conseguenza che i processi dureranno di più, perché i giudici se la prenderanno, per così dire, più comoda, o comunque non saranno pressati come adesso dalla minaccia di una sanzione disciplinare che può scattare – sia pure in modo platonico – ogni volta che pronunciano l’estinzione del reato per decorso del tempo.

Così i danneggiati, il cui risarcimento è legato alla sentenza definitiva, attenderanno le calende greche. Proprio per evitare questa sciagura il ministro della Giustizia Bonafede, e con lui il governo, hanno differito l’entrata in vigore di questa legge al gennaio 2020, promettendo che sarà vincolata alla contemporanea riforma del processo penale che, abbreviando i giudizi, eviterà le funeste conseguenze qui prospettate. 

Sennonché, dopo quasi sei mesi dal solenne proclama, di questa riforma non si sa nulla, per la semplice ragione che non è nemmeno iniziata. E questo era ovvio e prevedibile se si pensa che l’attuale codice di procedura penale, che porta la firma di Giuliano Vassalli, grande giurista ed eroe della Resistenza, era il frutto di anni di duro e qualificato lavoro. Tralasciando il fatto che, nonostante tali premesse, questo codice è stato sfregiato e snaturato dal legislatore e dalla Corte Costituzionale ( mentre il codice penale, vecchio di novant’anni e firmato da Mussolini è ancora lì quasi intonso) l’idea che entro la fine dell’anno si possa rimetterlo a nuovo è - come tutti capiscono - una vana aspirazione metafisica.

Quindi delle due l’una: o il governo farà slittare la prescrizione, rivelando un’incapacità riformatrice aggravata dai velleitari proclami palingenetici, oppure manterrà la legge senza attendere il nuovo codice, smentendo così sé stesso e le sue promesse. Cosa che peraltro il ministro Salvini ha pubblicamente e altrettanto solennemente escluso, aggiungendo che la Giustizia sarà il prossimo banco di prova della coalizione. Se questo banco sia destinato a consolidarsi o a saltare proprio su questa questione, che da oltre vent’anni condiziona la nostra politica, è cosa che vedremo subito dopo le elezioni, sperando che Salvini smentisca il disincantato scetticismo di Clemenceau.
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