Barbara Gallavotti

Effetto notorietà/ Un caso che ci dà più consapevolezza

di Barbara Gallavotti
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Domenica 8 Marzo 2020, 00:14
Per il nuovo coronavirus, come per ogni virus, le persone sono sostanzialmente tutte uguali. Del resto i virus non sono neppure esseri viventi. In realtà, come li ha efficacemente descritti il Nobel per la medicina Peter Medawar, sono «una cattiva notizia avvolta da proteine»: solo un poco di nefasto materiale genetico incapsulato in una scatolina di natura proteica e alla ricerca di una cellula da infettare. 
Noi esseri umani però vediamo le cose diversamente: ci sono esponenti della nostra specie ai quali riconosciamo una funzione particolare. Dunque anche in mancanza di legami personali la notizia che sono stati infettati ci costringe a riflettere. E forse questo è proprio ciò di cui abbiamo più bisogno in questo momento.
Così è stato quando abbiamo scoperto che il nuovo coronavirus aveva colpito lo scrittore cileno Luis Sepulveda, o anche alla conferma che il presidente della Regione Lazio e segretario del Pd Nicola Zingaretti è risultato positivo. In particolare Zingaretti non solo è un rappresentante delle istituzioni, ma ha anche ricoperto il ruolo di commissario per la sanità nel Lazio. Quindi ha avuto una funzione importante in quel sistema a tutela della salute sul quale ora facciamo tutti affidamento.
Sapere che il virus ha raggiunto personalità pubbliche di rilievo ci richiama fortemente al fatto che ciascuno di noi rischia il contagio. E improvvisamente la cupa minaccia acquisisce dei volti, quelli che in comunicazione verrebbero forse definiti “dei testimoni”.
Non è una questione secondaria perché nelle emergenze il ruolo della comunicazione è cruciale. Per contenere la diffusione del virus è essenziale il contributo di tutti: anche solo una piccola percentuale di persone che decidono di agire diversamente da quanto richiesto rappresenta una via privilegiata lungo la quale l’agente infettivo è libero di circolare. Ma perché ciascuno si senta coinvolto e responsabile occorre che tutti siano convinti della vitale importanza del proprio ruolo, soprattutto nel caso di misure dure come quelle che ci viene richiesto di prendere. Questo è qualcosa che sembra non stia ancora accadendo, non certo abbastanza. Quindi la corretta informazione è essenziale. Questa deve necessariamente partire da ricercatori e scienziati, perché essi rappresentano l’unica sorgente di conoscenze affidabile sugli agenti infettivi. Le notizie corrette però non possono poi diluirsi in un fiume di opinioni colorite ma non qualificate, perché queste hanno un effetto straniante.

Ancora più perniciose sono le vere e proprie bufale, o “fake news”. Tutti noi siamo esposti al loro fascino, soprattutto nelle situazioni difficili. Una “fake news” ben costruita ha un enorme potere consolatorio. Mentre ci dibattiamo in un problema che ci pare insormontabile, la “bufala” ci tira fuori dai guai convincendoci che esista una soluzione facile e a portata di mano. Magari suggerendo che quel problema non esiste, è una invenzione malvagia. O che la minaccia può essere disinnescata molto semplicemente, forse da un amuleto, da un inesistente “nutriente che blocca il virus” o da un antico rimedio usato dagli antenati (in epoche in cui non esistendo né farmaci né ospedali, le infezioni facevano strage). In questo caso più che mai viene in mente un aforisma attribuito a George Bernard Shaw che dice: “ogni problema complesso ha sempre una soluzione semplice, solo che è sbagliata”. Si potrebbe pensare che non ci sia poi molto di male a ricorrere a qualcosa che aiuta a sfuggire all’ansia. Anche il più innocuo degli espedienti però diviene dannosissimo se ci convince di essere protetti quando non lo siamo. Dobbiamo usare tutte le nostre forze per affrontare con razionalità il minuscolo agente infettivo che ci minaccia. Anche perché quello che stiamo facendo non è solo salvaguardare noi stessi, nel caso apparteniamo a una categoria di persone per le quali il nuovo coronavirus ha meno probabilità di avere effetti gravi o mortali. Stiamo proteggendo la nostra collettività e mettendo alla prova la capacità che abbiamo di tutelare i più deboli. Perché non vogliamo assolutamente correre il rischio di perdere neppure le persone potenzialmente fragili ma uniche e preziosissime che ci circondano.
 
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