Alessandro Orsini

Scontro con Teheran/Il conflitto che Trump non può affrontare

di Alessandro Orsini
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Venerdì 14 Giugno 2019, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 01:39
Lo stretto di Hormuz è una delle rotte più importanti al mondo per il trasporto del petrolio ed è attraversato da circa un terzo di tutte le petroliere. Nel 2016, 18,5 milioni di barili di petrolio sono passati da qui ogni singolo giorno. L’Iran potrebbe chiudere lo stretto causando un’impennata del prezzo del petrolio, che metterebbe in crisi molte economie occidentali. Ogni bene, che sia scarso e ambito, diventa costoso. Ecco perché i siluri sparati contro due petroliere nello stretto di Hormuz stanno destando i più grandi timori di una guerra tra Stati Uniti e Iran. Timori che, pur avendo un fondamento, devono essere attenuati per tre ragioni. 


La prima è che Trump non ha un interesse a entrare in guerra con l’Iran prima del voto con cui dovrà giocarsi il suo secondo mandato. Siccome sarebbe una guerra complicata e sanguinosa, che non potrebbe vincere in poco tempo, si ritroverebbe in campagna elettorale con un conflitto in corso e dall’esito incerto. Peggio: si tratterebbe di una guerra capitata e non voluta. Trump sarebbe accusato di dilettantismo. A differenza di Bush, che decise di invadere Afghanistan e Iraq, Trump si ritroverebbe in guerra senza nemmeno sapere come, e sarebbe accusato di essere un dilettante allo sbaraglio. 
La seconda ragione è che una guerra con l’Iran spalancherebbe le porte del Medio Oriente alla Cina.

Xi Jinping guida un Paese che ha un bisogno immenso di energie per sostenere i propri ritmi di crescita impetuosi. Una delle aree in cui ha investito maggiormente per rifornirsi nel futuro è proprio il Medio Oriente. Se la Cina è rimasta per lo più a guardare la guerra in Siria, pur sostenendo Bassar al Assad e Putin contro Obama, con l’Iran non rimarrebbe con le mani in mano: la Cina è il principale acquirente di petrolio iraniano. Il 20 maggio, Zarif, ministro degli esteri iraniano, ha fatto visita al suo omologo cinese, Wang Yi. I due si sono incontrati subito dopo la notizia che una nave aveva scaricato 130,000 tonnellate di petrolio iraniano nei pressi della città di Zhoushan, a sud di Shanghai. La missione – ha rivelato l’agenzia Reuters – sarebbe stata realizzata impiegando ben quattro imbarcazioni per eludere il sistema delle sanzioni americane contro l’Iran.

Vi sarebbe da aggiungere che le navi da guerra dei due Paesi hanno condotto esercitazioni militari congiunte. Esercitazioni, nemmeno a dirlo, che si sono svolte nella porzione orientale dello stretto di Hormuz, il 18 giugno 2017, con la partecipazione di 700 soldati iraniani: lo scenario era di guerra. La prima esercitazione congiunta tra Cina e Iran risale al 21 settembre 2014. È dunque una cooperazione militare consolidata.
La terza ragione è che una guerra con l’Iran significherebbe la fine di ogni politica di accomodamento con la Corea del Nord, che dipende dalla mediazione della Cina. La verità è che il dominio che gli Stati Uniti esercitano sul Medio Oriente, di cui Israele beneficia grandemente, non è mai stato così ampio e così saldo. In un simile contesto, tutto ciò che non serve agli Stati Uniti è una guerra con l’Iran. Chi domina non ha un interesse a sconvolgere il mondo per poi riorganizzarlo.

Da che mondo è mondo, i dominatori conservano; i dominati rivoluzionano. 
Vi sarebbe da dire anche dell’Italia. Tra tutte le guerre che gli Stati Uniti potrebbero condurre, quella con l’Iran sarebbe la più dannosa per l’Italia, che è il principale partner commerciale di Teheran nell’Unione Europea. È a Roma che il presidente dell’Iran, Rouhani, scelse di recarsi come prima tappa del suo viaggio in Europa, dopo il ritiro delle sanzioni da parte di Obama, subito reintrodotte da Trump, con grave danno per il governo Conte. In queste ore, Mike Pompeo, il segretario di Stato americano, sta accusando l’Iran di avere lanciato i missili contro le petroliere. In cuor suo, Trump spera che si sbagli.
aorsini@luiss.it
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