Alessandro Orsini

Dall'energia al web/ La bussola per uscire dalla crisi del secolo

di Alessandro Orsini
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Venerdì 17 Aprile 2020, 00:32
La crisi del coronavirus diventerà la grande crisi del Duemila. Le migliori menti americane sono impegnate in un dibattito, sui quotidiani e nelle maggiori università, circa le decisioni strategiche per il futuro del Paese in questo secolo, non il mese prossimo. Un dibattito che, in Italia, stenta a decollare, ma che, invece, è urgente e doveroso. 

È chiaro che la crisi del coronavirus avrà una durata superiore alle aspettative iniziali e, per quanto sia lecito che l'uomo comune auspichi che tutto finisca domani, i capi di Stato hanno il dovere morale di essere pessimisti. Un pessimista è come un pastore protettivo. Pensando sempre al peggio, riesce a elaborare un gran numero di strategie per riparare il proprio gregge dalle calamità inaspettate.

Per quanto la metafora del gregge e del pastore non piaccia in molti ambienti, perché ritenuta conservatrice o addirittura reazionaria, è questa la realtà che abbiamo davanti agli occhi.

I ritmi di vita di milioni di persone, poste nel recinto della quarantena, sono disciplinati dal governo in ogni dettaglio e presto avremo un'applicazione sul telefonino che informerà i carabinieri sui movimenti di ogni cittadino.

Dunque, il coronavirus ha già cambiato le nostre vite e si pone il problema, non soltanto di creare nuova liquidità da immettere nel sistema economico, ma anche del modo migliore in cui utilizzarla. Saranno i soldi più importanti mai spesi dalla Repubblica Italiana dopo il piano Marshall. In una prospettiva che guarda oltre la cosiddetta fase due, le urgenze strategiche ci sembrano quattro. 

In primo luogo, il governo italiano dovrebbe riaprire il discorso sull'energia nucleare affinché l'Italia, destinata a impoverirsi, sia meno soggetta ai ricatti energetici di altri Paesi e, nel complesso, più autonoma e sicura. Germania e Olanda stanno cercando di gestire la crisi del coronavirus in modo da mantenere il loro vantaggio rispetto agli altri membri dell'Unione Europea: ecco perché rifiutano i Corona-bond. Ne consegue che l'Italia deve, a sua volta, gestire la crisi in modo da non perdere troppe posizioni rispetto alla Germania. Prima della crisi, Roma era dieci metri dietro Berlino; dopo la crisi, i metri potrebbero essere mille. L'energia nucleare è una delle forze produttive che accresce maggiormente la potenza di uno Stato per ragioni talmente numerose da non poter essere elencate in questa sede per motivi di sintesi. Ci sono Paesi poveri, che vengono trattati da ricchi, perché hanno l'energia atomica. Se il Pil dell'Italia crollerà, le oscillazioni del mercato energetico potrebbero essere esiziali. Crisi epocali richiedono svolte epocali. 
La seconda urgenza strategica è un investimento pubblico per diffondere internet in tutti gli angoli d'Italia. Se gli studenti seguiranno le lezioni universitarie da casa, e se l'economia continuerà a funzionare da casa per molte persone, le connessioni internet dovranno essere velocissime e gratuite anche nei luoghi più remoti: a Rapino, mille abitanti in provincia di Chieti, e in tantissimi altri paesini, internet non funziona in modo adeguato, ma dovrebbe viaggiare come nel centro di Milano perché l'Italia non diventi come l'Europa: a due velocità. 

In terzo luogo, occorre invertire la tendenza alla chiusura degli ospedali nei centri piccoli e medi, come Guardiagrele, per citare un caso specifico. In epoca di coronavirus, la chiusura di quella struttura, e di strutture simili, diventa un danno per tutto il Paese. In quarto luogo, è urgente un piano nazionale per la creazione di veicoli a energia elettrica, anche perché questo sarà un investimento importante negli Stati Uniti ed è chiaro che l'Italia dev'essere allineata il più possibile al mercato americano, avendo il proprio punto di forza nelle esportazioni. Detto più semplicemente, se il mercato americano inizia a produrre massicciamente macchine elettriche, l'Italia non può produrre massicciamente lampade a petrolio. 

Ragionare in questi termini, in Italia, non è semplice per due ragioni principali. La prima è che non esiste una cultura della riflessione strategica nelle università italiane, che sono la vetta del sapere. Se le università scarseggiano di un certo bene culturale, un intero Paese sarà colpito da penuria. La seconda ragione è l'instabilità dei governi, che condanna i partiti a correre sempre con il fiato corto, mentre i ragionamenti strategici sono di lungo respiro. 
aorsini@luiss.it 
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