Welfare aziendale: ecco come si calcolano i benefici per i dipendenti. E un indice è la quantità di sorrisi

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di Andrea Pertini
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Martedì 27 Aprile 2021, 08:18 - Ultimo aggiornamento: 19 Febbraio, 02:28

La volontà di misurare è connaturata al bisogno di fare impresa. Finché si tratta di numeri e di finanza siamo su un territorio noto e consolidato. Il Roi (Return on investment) è un elemento essenziale per poter giudicare la bontà di un investimento e quindi l’adeguatezza di un obiettivo d’impresa. Ma quando ci si sposta sui terreni dell’immateriale, molto cambia. «Infatti non parliamo di Roi, ma di Sroi, Social return on investment. In quell’aggettivo, “social”, sta molta della differenza, anche nella definizione delle metriche. Le metodiche sono diverse, ma non sono meno serie e attendibili. Si tratta di fare un percorso di progressione, sempre in relazione agli obiettivi strategici che ci si pone», spiega Francesca Rizzi, co-founder di Jointly uno dei più attivi provider di welfare aziendale.

UNA SURVEY ONLINE

Social Value Italia e Percorsi di secondo welfare, con il supporto scientifico di Altis, Università Cattolica e Avanzi, hanno avviato tra aprile e ottobre 2020 un’indagine volta a delineare le caratteristiche, le aspettative e le pratiche di valutazione di impatto sociale delle iniziative e dei piani di welfare aziendale. L’indagine è stata svolta attraverso una survey online, diffusa tramite i canali di comunicazione delle organizzazioni promotrici, senza nessun tipo di campionamento. E’ stata la prima iniziativa promossa da soggetti terzi, rispetto al mercato. «Per quanto riguarda la misurazione dell’impatto sociale dei piani di welfare aziendale, sicuramente la strada da percorrere è ancora molto lunga – si legge nella pubblicazione prodotta dopo l’indagine, un position paper dal titolo “La valutazione d’impatto sociale come elemento costitutivo dei piani di welfare aziendale” - Infatti, solo il 14% dei rispondenti, ossia i rappresentanti di 8 aziende, ha dichiarato di realizzare attività, perlopiù annuali, per il monitoraggio delle azioni di welfare aziendale in termini di effetti generati».

OSSERVAZIONE

Alcune informazioni arrivano dal gruppo di lavoro MaUniMib realizzato dall’Università degli Studi Milano Bicocca e dalla società di consulenza Valore Welfare. Secondo un’osservazione fatta su 8 grandi aziende, è stato stimato che il “ritorno” che i piani di welfare aziendale possono produrre è poco significativo sul piano puramente economico (grazie al favor fiscale e contributivo): l’incidenza sul costo totale del lavoro è infatti mediamente pari allo 0,35%. Effetti molto più rilevanti si hanno su indicatori “intangibili”, come il clima organizzativo, il tasso di turnover e la reputazione dell’azienda: il gruppo di lavoro stima un miglioramento di questi Key Performance Indicator (Kpi) nel lungo periodo di una percentuale che va dal 15% al 25%.

Il direttore Risorse umane di una grande azienda chimico-farmaceutica sostiene che è difficile andare oltre alla misurazione dei sorrisi dei collaboratori. Come dire: Kpi oggettive? Impossibile. Rizzi è più possibilista: «Vada per i sorrisi, è già qualcosa. Ma occorre darsi l’ambizione di fare di più e di meglio. Non è vero che gli impatti delle iniziative Hr non sono misurabili, perché agiscono su asset considerati “intangibili” come il capitale umano. Le metodologie esistono, ma certo non si può improvvisare. Il progetto di welfare aziendale, non inciderà direttamente sul fatturato, ma sicuramente può produrre risultati misurabili in termini di benessere individuale e organizzativo, con forti implicazioni di business». E poi ci sono le survey. E non si tratta di nulla di banale. Le survey non sono tutte uguali. La bontà dipende dalla metodologia scientifica con cui si costruiscono le domande e il tipo di approccio all’analisi dei dati, come ad esempio la possibilità di avere un campione di controllo. E poi si possono e si devono integrare con dati acquisiti dalle direzioni delle Risorse umane. Qualche esempio: sono calati o diminuiti i permessi? E le assenze per malattia?

UN APPROCCIO ESG

Standardizzare non è facile. Conferma Rizzi di Jointly: «Cambia molto da azienda ad azienda. Dipende da quanto è profondo e articolato il piano di welfare. Dipende da quanto tempo si sviluppano obiettivi legati al welfare aziendale. Il percorso di misurazione dell’impatto è connesso a tutto questo ventaglio di possibilità. Tuttavia, l’importante è che le aziende comprendano che la misurazione d’impatto del welfare non è altro che una delle declinazioni del proprio approccio agli Esg, all’interno delle politiche di sostenibilità. L’impatto sociale del welfare rappresenta uno degli ingredienti della lettera “s” di quella sigla: gli interventi a supporto delle proprie “risorse umane” sono elementi importantissimi da valorizzare all’interno di una rendicontazione di sostenibilità». Potremmo dire che cambia anche l’obiettivo di misurazione dell’impatto. Si può misurare un impatto sull’individuo e sul suo benessere in termini di salute psicofisica, di worklife integration, o di benessere famigliare. C’è poi un impatto sull’organizzazione, che deriva dal clima aziendale, dall’engagement, ma anche dalla produttività. «E poi c’è un impatto sociale complessivo – aggiunge Rizzi - un impatto delle politiche di welfare aziendale che incidono sulla comunità, sul territorio, sulla società, nella quale vivono e agiscono i lavoratori delle aziende». «Intanto si possono raggiungere risultati utili per un bilancio sociale, o di rendicontazione non finanziaria. E non è poco – conclude Rizzi - Tra non misurare nulla e arrivare al calcolo dello Sroi c’è un abisso. È un percorso che richiede del tempo, ma si può approcciare la misurazione d’impatto anche con gradualità raggiungendo dei risultati intermedi, già molto significativi per l’azienda».

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