Psicoeconomia: come il linguaggio non verbale influenza il mercato del lavoro

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Martedì 21 Marzo 2023, 11:00 - Ultimo aggiornamento: 17 Aprile, 11:25

Grandi dimissioni, job hopping, reskilling…sono le parole chiave di un mercato del lavoro che cambia. Con Gabriele Bilotti, esperto di economia comportamentale e linguaggio non verbale, parliamo di psicoeconomia e come questo mix di tecniche influenzi le relazioni professionali

Dall’America arriva in Italia la nuova tendenza del job hopping, ovvero “saltare da un lavoro a un altro”, diffusa maggiormente tra i millennial. Un trend che si aggiunge al filone di tutte quelle azioni volte a migliorare la propria posizione professionale, non solo per quanto riguarda gli stipendi, ma anche e soprattutto per la propria salute. In questo dinamismo, è importante sapere come bisogna comportarsi a un colloquio, e oltre a basarsi sulle info presenti sul curriculum vitae, è opportuno saper analizzare anche il comportamento non verbale del nostro interlocutore, che sia un candidato/a o il futuro datore/datrice di lavoro. Annuire mentre qualcuno sta parlando è sinonimo di attenzione? Come ci si prepara a un colloquio? Cosa possiamo ottenere attraverso la conoscenza della postura dei nostri interlocutori? L’importante è avere consapevolezza di ciò che esprimiamo non solo a parole ma anche attraverso i nostri gesti.

Da quali esperienze professionali nasce il tuo interesse per la psicoeconomia?

Nella mia carriera di studi, la passione per il settore commerciale, in particolare per le vendite, si è unita crescendo a quella per la psicologia. Mi sono reso conto che il manuale del perfetto venditore per coloro che lavorano nel mercato, deve comprendere anche delle nozioni di psicoeconomia funzionali alle trattative. Bisogna sempre tener conto del fattore psicoemotivo dell’interlocutore che si ha davanti per poter arrivare all’obiettivo che ci siamo preposti.

Su quali assunti si basa e in che modo questa disciplina sta diventando sempre più importante nel mercato del lavoro?

In ogni contesto socioeconomico, e quindi lavorativo, dobbiamo massimizzare il profitto e minimizzare l’effort. Per questo dobbiamo andare oltre rispetto un primo livello percettivo e arrivare a comprendere il linguaggio non verbale. In Italia non è ancora studiata come disciplina autonoma ma come un filone di studi inserito in altre facoltà che va poi ad approfondirsi attraverso esperienze personali. Una ricerca empirica la definirei.

Sono più le aziende a interessarsene o i professionisti che vogliono essere ben preparati a un colloquio o a una trattativa economica?

Sicuramente i liberi professionisti, la maggior parte delle aziende è ancora attaccata ai risultati e solo negli ultimi tempi si sta dando valore alle persone, alle loro soft skills. Del resto gli HR svolgono proprio questa funzione di ascolto e di valorizzazione delle qualità psicoattitudinali delle persone. Ad oggi i lavoratori e lavoratrici vogliono studiare e formare al meglio la loro position, per carpire quali sono le richieste di un papabile datore e azienda e per soddisfarle nell’interesse anche delle proprie aspettative, e di quello che il luogo di lavoro può offrire.

Quali sono i comportamenti da osservare, inserire o evitare?

Per esempio, anche grazie a degli studi comportamentali, è stato rilevato come annuire insistemente mentre ascoltiamo la persona che sta parlando, è indice di disattenzione: la maggior parte dei candidati che avevano questa abitudine, in realtà non stavano ascoltando e non avevano recepito delle informazioni basilari del dialogo.

Altro requisito, può essere quello del “trauma sano” creare cioè uno scontro, una discussione che metta in moto la dialettica affinché lo scambio delle informazioni sia dinamico e stimolante, che possano “scontrarsi” punti di vista eterogenei e arricchire la conversazione all’insegna dell’intraprendenza.

Psicoeconomia, intelligenza emotiva e empatia, esiste un legame e quanto la sinergia tra queste serve a migliorare le proprie soft skills?

Farei un discrimine tra psicoeconomia e intelligenza emotiva. Ad oggi il maggiore studio relativo all’intelligenza emotiva è stato condotto da Daniel Goleman, il quale afferma che si tratta di una sensibilità, io la definirei proprio una qualità personale implicante la messa in discussione e l’oggettivazione di un determinato contesto. A questa base emotiva, si aggiungono i fondamentali della psicoeconomia che in questo modo affinano le skills necessarie a ogni trattativa. Non parliamo tuttavia di manipolazione, è opportuno sottolineare questo aspetto, ma di una interiorizzazione consapevole di alcuni concetti, e non c’è alcuna imposizione.

Abbiamo già a disposizione dei dati che dimostrano l’efficacia della psicoeconomia in relazione alle soft skills, reskilling e possibilità di assunzioni, avanzamento di carriera?

Ancora non abbiamo dati a disposizione, almeno non nel nostro paese, perché si tratta di un campo di studi in divenire; le lauree specialistiche in Italia sono ancora rare (oppure relative a delle università private ndr) e gli stessi moduli possono essere rintracciati all’interno di altre facoltà come quelle di economia, antropologia, sociologia e psicologia. Certo è che la multidisciplinarietà dei saperi e la loro applicazione permette di consolidare questa capacità di osservazione e di adattarla a un orizzonte di relazioni professionali in costante mutamento.

Lucia Medri

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