Con Toni Ricciardi – Storico delle Migrazioni all’Università di Ginevra, componente del comitato scientifico del Rapporto Italiani nel Mondo della Fondazione Migrantes e eletto rappresentante alla Camera dei Deputati nella Circoscrizione Estero, ripartizione Europa- parliamo di smart working e di south working, e del vero contenzioso che li lega: il tema della portabilità di un diritto.
Toni Ricciardi inizia il nostro confronto dirimendo subito degli aspetti storiografici che fanno chiarezza rispetto a una situazione di certo molto attuale ma che ha iniziato a delinearsi circa una ventina di anni fa: “quando parliamo di south working e di fenomeni di ripopolamento di paesi prima abbandonati, non possiamo più far riferimento alla dicotomia territoriale tra Nord e Sud, dovremmo piuttosto analizzare la relazione tra spazio urbano e aree di margine, perché queste non sono solo al Sud. Ad oggi il primo paese per emigrazione è proprio la Lombardia”. Lo storico delle Migrazioni all’Università di Ginevra e componente del comitato scientifico del Rapporto Italiani nel Mondo della Fondazione Migrantes specifica infatti che il primo rapporto dal titolo 1996/2006 – Eccellenze e ghost town nell’Italia dei piccoli comuni è stato diffuso da Confcommercio-Legambiente circa una ventina di anni e all’epoca già si osservava il fenomeno del cosiddetto disagio abitativo.
Il Covid-19 ha indubbiamente accelerato il decentramento riportando nei luoghi d’origine molti lavoratori e lavoratrici che vivevano nelle grandi metropoli ma, ribadisce Ricciardi, “è stata un’accelerazione spinta da una contingenza che non si è tuttavia consolidata nel tempo. Dopo sette otto mesi, anche quando non eravamo totalmente usciti dall’emergenza, la permanenza nella modalità di smart working ha iniziato a decrescere a causa dell’infrastruttura ridotta facendo emergere il vero contenzioso relativo a questa tematica, ovvero la fiscalità”.
Per quanto riguarda poi la dimensione estera, l’ente che riconosce lo smart working del dipendente fa fede al territorio dove risiede legalmente la società in cui si lavora, superati però i 180 giorni di distanza, si lavora sul suolo italiano e si viene di conseguenza tassati.
Ad oggi è infatti difficile, sostiene Ricciardi, avere a disposizione dei dati certi sul presente dello smart working perché resiste un’evidenza: “se si lavora in smart non si aggiornano i dati sulla residenza, o non lo si fa in breve tempo, per questo è importante osservare e delineare dei trend che ci forniranno poi, in media dopo tre, quattro anni, dei risultati oggettivi”.
Lucia Medri
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