La felicità sul lavoro, sinonimo di libertà, espressione e autonomia

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Venerdì 5 Maggio 2023, 14:00 - Ultimo aggiornamento: 17 Maggio, 11:00

Dal rapporto dell’Osservatorio BenEssere Felicità emerge, per la prima volta, che le 4 generazioni (Gen. Z, Millennial, Gen. X e Baby Boomer) sono unite nel ritenere che nel sistema lavorativo italiano qualcosa non funziona. Un confronto a due voci con Elga Corricelli, co-founder dell’Associazione Ricerca Felicità, e Elisabetta Dallavalle, Presidente dell’Associazione Ricerca Felicità

L’Osservatorio BenEssere Felicità avvisa istituzioni, imprenditori e stakeholder di tutte le aziende italiane: i primi dati del 2023 dimostrano che la crisi nel mondo del lavoro rischia di cronicizzarsi. I dati emersi dall’ultimo rapporto pubblicato nel mese di marzo hanno dimostrato che, rispetto al 2022, la domanda “Stai pensando di cambiare lavoro a breve?” trovava una forte convinzione da parte degli appartenenti alla Gen. Z (37,4% del campione), ma ancor più per Millennial (49%), e Gen. X (al 42,3%). Dodici mesi dopo notiamo una crescita – eccetto per la Gen. X, che rimane stabile – in tutte le fasce generazionali: Gen. Z al 59,9%, Millennial al 52,6%, e Baby Boomer al 24,1%.

A questa evidenza, la leadership di molte realtà è chiamata a rispondere con azioni focalizzate sull’attrattività, la libertà di espressione, il riconoscimento del merito*, la formazione e l’innovazione; tutte pratiche direttrici volte a consolidare il contributo valoriale delle persone. Nel confronto avuto a commento di quest’analisi con Elga Corricelli, co-founder dell’Associazione Ricerca Felicità, e Elisabetta Dallavalle, Presidente dell’Associazione Ricerca Felicità  sono emerse come parole chiave integrazione, in quanto sostituisce il bilanciamento vita-lavoro definendo un orizzonte improntato non più all’equilibrio ma alla compenetrazione tra gli aspetti della vita individuale, familiare e professionale; e poi relazione, dalla quale non si può prescindere affinché si determini ascolto e dialogo.

*Alla domanda “I tuoi meriti vengono sempre riconosciuti?”si è registrata una diminuzione di questo dato rispetto all’anno scorso per tutte le fasce generazionali: la Gen. Z passa da una media (su una scala da 1 a 6) del 4,34 nel 2022 a un 3,51 nel 2023, i millennial da 3,46 a 3,26, la Gen. X dal 3,48 al 3,39 e infine, i Baby Boomer sono passati dal 4,16 di riconoscimento al 3,40.

L‘ultimo nostro aggiornamento è stato circa due anni fa, subito dopo la pandemia, quando sostenevamo che la felicità è una variabile trasformativa. Ad oggi, qual è e com’è questo presente?

Elga Corricelli: Oggi l’Osservatorio lavora su un campione ampio di 1106 persone (nel 2022 erano 1079 ndr) implementando l’attenzione ad ampio spettro che nel frangente straordinario della pandemia si era focalizzata inizialmente sulla solitudine. Passati due anni, la copertura si consolida a livello nazionale e comprende professionisti/e esclusivamente appartenenti a 4 tipologie di lavoro (dipendenti, manager, liberi professionisti/partite IVA/piccoli imprenditori e imprenditori ndr) e 4 principali generazioni (Baby Boomer, Generazione X, Millennial, Generazione Z, con un minimo di 100 rispondenti per generazione ndr).

La tendenza alla felicità intesa come competenza e pensiero positivo si conferma piuttosto alta in questi gruppi e superiore alla media precedente. Il dato però che le imprese dovrebbero tenere in considerazione, e al quale facciamo appello affinché non venga sottovalutato, è quello dell’insoddisfazione, traducibile in numeri che indicano la volontà dei singoli di cambiare lavoro nei prossimi dodici mesi.

Su quali assunti di osservazione si basa l’ultima indagine, cosa vi aspettavate emergesse e rispetto a cosa siete rimasti stupiti?

Elga Corricelli: Abbiamo integrato alcune domande in questa terza edizione, rispetto alle quali ci aspettavamo risultati più tiepidi in realtà, perché sappiamo che le aziende hanno mosso passi importanti in questi anni che però hanno ancora bisogno di tempo per poter incidere nel cambiamento. Alle persone è stato chiesto di dare un’accezione ai termini felicità e benessere, spesso usati come sinonimo, e il riscontro è stato determinante perché da un lato ci ha confermato, oggettivandola, la nostra sensazione per la quale queste due rimangono due dimensioni diverse; dall’altro invece, ci ha stupito come la felicità sia stata associata al sentimento della libertà e benessere a quello dell’equilibrio psicofisico (leggi la nostra pubblicazione dedicata al tema in cui è citato l’Osservatorio sulla Felicità ndr).

La libertà si configura e declina nella libertà di espressione, della propria unicità, autonomia e scelta. Le persone vogliono determinarsi prima come esseri umani e poi come professionisti.

Elisabetta Dallavalle: Tutte le generazioni procedono all’unisono, è un altro elemento significativo che è emerso e merita attenzione. Se nei report precedenti vi erano delle differenze tra bacini di persone, oggi invece il sentimento è diffuso e condiviso, a conferma della visione che avevamo, ancora prima della pandemia la quale è stata soltanto un detonatore di elementi già in emersione.

Una provocazione: se questa insoddisfazione lavorativa da parte delle nuove generazioni fosse invece requisito funzionale al raggiungimento della felicità, per ricercare contesti sempre più adeguati alle proprie esigenze?

Elga Corricelli: “la ricerca di un contesto” è il concetto dirimente. Il binomio insoddisfazione-cambiamento, per cui mi licenzio e trovo un altro lavoro, non deve spaventare perché non è un rapporto di causa-effetto. È la ricerca che fa la differenza: il personale porta un’energia diversa che deve essere recepita, ascoltata e poi trasformata in azione generativa dalla leadership aziendale, è quindi un processo che va innanzitutto costruito insieme e messo a terra nel posto di lavoro affinché si generi fiducia.

Forse la maggiore infelicità è associata allora a una maggiore consapevolezza?

Elisabetta Dellavalle: Lavoratori e lavoratrici non possono andare avanti in modalità sopravvivenza. Le persone sono sempre state consapevoli, non è cresciuta la capacità di osservazione di alcune dinamiche frustranti, solo che adesso questa presa di coscienza si esplicita nell’insofferenza. Non si tratta quindi di infelicità quanto piuttosto della volontà di far parte di un cambiamento, che l’intelligenza artificiale e la digitalizzazione non possono certo risolvere.

Come dovrebbero reagire le aziende? Esiste una sorta di vademecum da rispettare per diventare un luogo di lavoro in cui poter coltivare la felicità?

Elisabetta Dellavalle: Non è necessario fare tutto e subito, ma col tempo, con la gradualità e coerenza giusta per la propria organizzazione e per le persone con le quali collaboriamo. Si tratta di dati provati, certificati e raccolti che fanno riferimento a delle normative applicabili, come la UNI/PdR 103:2021 per il wellbeing e la UNI/PdR 125:2022 in merito alla parità di genere. Già solamente rispondere a questa checklist farebbe comprendere all’azienda cosa è opportuno fare, cosa serve rimodulare, in maniera agevole e semplificata, senza ricorrere a sconvolgimenti.

Elga Corricelli: Studi internazionali provenienti da atenei che lavorano su queste analisi dimostrano che l’allineamento valoriale tra dipendente e datore determina maggiore produttività. Abbiamo la certezza, attraverso i balzi in avanti delle neuroscienze, di cosa ci fa stare bene. Le aziende non dovrebbero essere spaventate da questa evoluzione, del resto non serve un vademecum, basta partire dalla semplice domanda “Come stai?”.

Lucia Medri

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