Jorge Torre (CGIL): “il welfare non è la monetizzazione di tutto”

Jorge Torre (CGIL): il welfare non è la monetizzazione di tutto
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Giovedì 12 Maggio 2022, 13:00 - Ultimo aggiornamento: 23 Maggio, 12:00

In seguito all’evento Welfare Platform organizzato da Fondazione Feltrinelli, abbiamo raggiunto telefonicamente Jorge Torre Responsabile Contrattazione sociale e rapporto con il welfare contrattuale CGIL per una riflessione sul ruolo dei sindacati a favore delle politiche di tutela per lavoratrici e lavoratori

Che ruolo stanno svolgendo i sindacati in merito al welfare contrattuale e quanto è importante oggi la loro presenza nel dialogo tra aziende e personale?

Da sempre le organizzazioni sindacali si occupano di welfare e di implementare e costruire strumenti integrativi rispetto al sistema pubblico. Abbiamo sempre gestito il tema sia nel territorio che nelle aziende. Basti ricordare come negli anni ‘70 si chiedeva di destinare una quota del monte salari in favore di elementi di welfare territoriale. E ancora le lotte sindacali per congedi, permessi e gestione degli orari. Queste esperienze hanno contribuito alla realizzazione di una parte del sistema dello stato sociale di questo paese. Oggi, con un modello di relazioni sindacali diverso, dobbiamo fare una distinzione però tra la gestione nazionale di quello che noi chiamiamo il welfare contrattuale, ad esempio la previdenza complementare o quanto stabiliamo nei Contratti Nazionali, e quello che intendiamo come welfare integrativo aziendale, comprendente tutto quello che riguarda gli interventi legati alla normativa del 2016. La partecipazione del sindacato è fondamentale in questa fase di cambiamento delle aziende, sia ai fini di un’osservazione attenta delle nuove dinamiche che ai fini dello sviluppo di una contrattazione che metta sempre al centro i bisogni e l’ascolto delle persone.

Più spazio al welfare contrattuale vuol dire una nuova forma di contrattazione: meno aumenti in busta paga e più risorse di welfare (che costano meno alle aziende e valgono di più ai lavoratori), è un orizzonte plausibile?

Secondo noi è un orizzonte sbagliato. Bisogna trovare il modo di aumentare i salari in busta paga perché c’è un evidente problema salariale, e rispetto a questo c’è già stata una proposta generale di CGIL CISL e UIL su riforma fiscale e aumento del netto in busta paga. A questo si deve aggiungere il tema del benessere sociale delle persone per cui il welfare aziendale deve diventare uno strumento effettivamente integrativo rispetto al pubblico. Se l’idea è ridurre gli aumenti contrattuali dando più buoni spesa e più buoni carburante a titolo di welfare integrativo, la CGIL non è d’accordo. I buoni spesa non possiamo considerarli welfare e il problema salariale va affrontato complessivamente sia nell’ambito dei rinnovi contrattuali che rispetto al sistema fiscale.

Nel corso degli ultimi due anni quali sono stati i cambiamenti normativi sostanziali e che impatto hanno avuto?

Senza dubbio il recepimento in norma di legge dell’obbligo dei protocolli Covid-19 per la gestione della fase pandemica: un intervento che ha contribuito in alcuni casi all’attivazione di modelli partecipativi importanti, che non vanno dispersi o dimenticati.

Se parliamo invece di interventi normativi legati al welfare aziendale, riteniamo che questi debbano essere affrontati in maniera ancora più strutturale e complessiva. Si deve prevedere una gestione più appropriata del welfare integrativo, orientata ad un rapporto sempre più stretto con la rete dei servizi pubblici territoriali, da esercitare nella dimensione sinergica e integrativa al servizio universale e con una funzione di sostegno al welfare pubblico e quindi solidaristica rispetto alla comunità.

Cosa manca ancora da fare? Quali sono le azioni che auspica vengano approvate per facilitare una maggiore tutela per le lavoratrici e i lavoratori?

Vanno potenziati gli strumenti finalizzati all’estensione e rafforzamento della contrattazione e della partecipazione dei lavoratori sia nei luoghi di lavoro che sul territorio e poi bisogna smettere di pensare che il welfare sia la monetizzazione di tutto, e da tutti i punti di vista. La gestione pandemica e della povertà troppo spesso si è affrontata tramite l’erogazione di voucher e di buoni acquisto, è urgente invece aprire una discussione vera su come ricostruire un sistema di welfare universale e solidaristico e che riduca le disuguaglianze.

Il welfare integrativo è un volano fondamentale, ma quanto questo rischia di rendere marginale la funzione dello Stato?

A tutti i livelli politici, sindacali e istituzionali si deve iniziare a ragionare insieme. Superata la gestione a compartimenti stagni, bisogna partire dai bisogni delle persone nell’ottica di un welfare universale e inclusivo che risponda a tutte e tutti. Il welfare pubblico deve cambiare; il PNRR, se ben gestito, può rappresentare un’occasione; le risorse del privato possono allora essere dirottate in maniera oculata e virtuosa destinandone una quota agli esclusi dal welfare integrativo, in ottica solidaristica. Ad esempio per dare risposte ai bisogni dei disoccupati, pensionati, autonomi. Dopo venticinque anni di errori nella gestione del sistema pubblico, bloccando le assunzioni, i rinnovi contrattuali e con i tagli lineari, ora bisogna ristabilire il giusto ruolo anche nella governance. Se non si parte da questa logica, il rischio è quello di continuare a consegnare alla privatizzazione dei diritti universali che dovrebbero essere garantiti a tutte e tutti. Per gestire tutto questo, la contrattazione è fondamentale.

Lucia Medri

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