Fase 3: ripartire dal lavoro? Sì, ma con più welfare

Fase 3: ripartire dal lavoro? Sì, ma con più welfare
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Lunedì 13 Luglio 2020, 13:00 - Ultimo aggiornamento: 21 Luglio, 11:00

Dal presunto “Smart working” alle criticità psicologiche della nuova (e improvvisata) organizzazione del lavoro: problemi, opportunità, risorse disponibili. Questi i temi affrontati nel webinar promosso da WeWelfare.it in collaborazione con ComeBackWelfare: “Fase 3: oltre la sicurezza verso il benessere”

Il mondo del lavoro è stato profondamente segnato dall’emergenza Covid-19 e in pochi mesi ha visto stravolgimenti repentini: l’occasione per fare il punto della situazione è stato il webinar svoltosi lo scorso 30 giugno, organizzato da WeWelfare.it in collaborazione con ComeBackWelfare, dal titolo Fase 3: oltre la sicurezza verso il benessere. Un appuntamento online con esperti e osservatori attenti all’evoluzione dell’organizzazione del lavoro durante e dopo il lockdown. Si è discusso della contingenza attuale e del possibile assetto futuro modo di lavorare e del benessere dei dipendenti e della relazione tra lavoratore e azienda, messa a dura prova dai piani di smart working attuati in questi mesi di lockdown. Il welfare aziendale deve essere dunque ripristinato e rafforzato ai fini di una sana ripresa delle attività produttive. I materiali del dibattito e il video integrale sono disponibili e scaricabili nella sezione Dossier del nostro sito. A discuterne sono stati l’avvocato Angelo Zambelli, la psicologa Monica Bormetti, il docente della Cattolica Luca Pesenti, il consulente aziendale Giovanni Scansani, l’imprenditore Domenico De Liso. Moderati dal direttore di WeWelfare.it, Marco Barbieri.

L’introduzione è stata affidata all’avvocato Angelo Zambelli il quale ha delimitato il perimetro legislativo della pratica di smart working. Da marzo, ha specificato Zambelli, allo scoppiare dell’emergenza pandemica, il legislatore è dovuto correre ai ripari e senza considerare l’accordo tra le parti sono stati attivati piani di smart working unilaterali: è venuta meno quindi la contrattualizzazione del rapporto lavorativo sostituita da una sostanziale «unilateralità impositiva» in tema di smart working, o come molti hanno preferito chiamarlo: home working. La questione normativa è stata poi allargata all’insegna di una riflessione più ampia tra criticità e opportunità. Il consulente aziendale – co-fondatore di Valore Welfare, Giovanni Scansani ha parlato di «dramma dello smart working» che ha contribuito a un cambio di mindset: «E’ a dir poco impressionante quello che è successo in tre mesi, si è passati da 570 mila lavoratori in reale smart working a 8 milioni di dipendenti collocati in lavoro da remoto». Secondo Scansani, lo sforzo compiuto da questi lavoratori per mantenere alti gli standard lavorativi non ha che fare con la reale cultura del lavoro agile e, se questo lavoro è stato possibile, è perché si è sopportata una modalità che ha poi avuto ricadute notevoli sul sistema familiare. Da qui l’aspettativa, ribadita anche in altre occasioni dall’autore, che il Piano Colao e il Family Act dovrebbero essere implementati alla luce di questa consapevolezza.

L’utopia dello smart working deve essere tenuta sotto controllo perché secondo Luca Pesenti ha infranto il patto costitutivo che teneva la casa distinta dal luogo di lavoro e ha forzato (citando Max Weber) i confini tra vita privata e sfera lavorativa che evidentemente sono saltati. Si è parlato a tal proposito di «dis-integration del worklife balance», aspetto sollevato dalla psicologa Monica Bormetti, la quale, facendo riferimento all’Indagine sul lavoro forzato da remoto marzo 2020 ha evidenziato che il 65% delle persone ritiene di non aver ricevuto da parte della propria azienda delle linee guida per lavorare da casa e soffre lo stress per questo adattamento. In vista di una ripresa dunque, la dottoressa ha ricordato la centralità di elementi sui quali intervenire quali l’importanza dell’ascolto attivo, della creazione di momenti informali e di aiuto nella gestione delle distrazioni. Tornare al welfare di relazione, dunque, perché l’urgenza è quella di ribadire la difesa dei bisogni e della salute psicofisica del lavoratore nell’ottica del mantenimento del benessere collettivo dell’impresa.

Ma non tutte le aziende sono in grado di fare welfare, e di farlo durante questa crisi. Il tema delle risorse disponibili nella fase 3 di riavvio è stato affrontato grazie all’intervento di Domenico De Liso di Comeback welfare: «Abbiamo creato qualcosa di nuovo poiché offriamo l’unico strumento in Italia ed Europa capace di recuperare buona parte di un ordine d’acquisto inviato da parte dell’azienda al fornitore vincolando quel 1,5% del valore di ciascun ordine a una spesa di welfare. Noi siamo andati a vedere oltre il muro rivolgendoci a quel 99,7% di aziende e pmi che non hanno fondi per fare welfare. Comeback welfare permette di fare welfare senza toccare il bilancio aziendale».

«Quello che ci sta capitando rappresenta una cesura storica importante ma non è detto che ciò che ci consegnerà questo periodo sarà totalmente ribaltato», il docente Luca Pesenti ha auspicato di tornare alla definizione antropologica di lavoro per capire quello che si sta modificando, e anche perdendo, in quanto non tutto ciò che si può fare digitalmente, significa che sia un bene e sono molti i rischi che si possono correre con «questa sbornia da smart working».

Lucia Medri

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