Engineering. Lo smart working abita qui (da sempre)

Engineering. Lo smart working abita qui (da sempre)
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Martedì 24 Marzo 2020, 14:00 - Ultimo aggiornamento: 4 Aprile, 13:00

Il Gruppo Engineering è all’avanguardia per la digitalizzazione da anni. Soluzioni innovative per dipendenti e clienti che cambiano il mondo del lavoro

“Il lavoro da remoto lo abbiamo metabolizzato da anni” spiega Orazio Viele, Direttore Generale Tecnica, Ricerca e Innovazione di Engineering, “è nel nostro Dna. Certamente per chi come noi lavora nell’Ict, o per chi lavora sul Web, in Rete, abituarsi allo smart working è più facile”. Engineering è tra i principali attori della trasformazione digitale di aziende e organizzazioni pubbliche e private, con un’offerta innovativa per i principali segmenti di mercato. Con circa 11mila dipendenti in 65 sedi (in Italia, Belgio, Germania, Norvegia, Serbia, Spagna, Svezia, Svizzera, Argentina, Brasile e Usa), il Gruppo Engineering disegna, sviluppa e gestisce soluzioni innovative per le aree di business in cui la digitalizzazione genera i maggiori cambiamenti.

Di questi 11mila professionisti oggi più della metà, più o meno 8000, lavorano già in Smart Working. Il caso di Engineering è curioso: offre soluzioni perché i suoi clienti possano organizzarsi per fare smart working, e testimonia direttamente come è possibile organizzarsi per lavorare a gruppi, da remoto. Da anni. Certamente da molto prima dell’emergenza Covid-19 e prima che lo smart working diventasse uno degli strumenti privilegiati della contrattazione aziendale per “fare welfare integrativo” in azienda, conciliando vita e lavoro.

“Il lavoro distribuito è più facile per chi ha un’attività connessa alla tecnologia, a Internet, al web in senso lato. Il problema è che non tutti i nostri clienti hanno questa abitudine al lavoro da lontano. Molti ancora considerano che il face-to-face dia maggior valore, anche se non sempre è così. Ci vogliono presenti in azienda, al fianco dei loro dipendenti per un lavoro che per sua natura è facilmente strutturabile da lontano, per assemblare talenti e per trovare soluzioni migliori alla costruzione del software che poi vendiamo alla nostra clientela” continua Viele.

Uno degli elementi ricorrenti, quando si parla di smart working – soprattutto quando se ne sparla nella Pubblica Amministrazione, sempre a caccia di veri o presunti “fannulloni” – è la misura della produttività, il controllo del lavoratore che opera da remoto. Viele spiega: “La misura della produttività? Per chi opera nella produzione di software, la produttività si misura solo con la soddisfazione del cliente. Solo quando il cliente utilizza il software possiamo dire se il lavoro è stato concluso con successo; e solo allora abbiamo misurato la qualità e la produttività dei nostri collaboratori”.

Con la crisi da Covid-19 molte delle remore che hanno rallentato l’approccio allo smart working sono venute meno, anche quelle di natura contrattuale e sindacale. “La necessità di usare un badge per dimostrare la presenza in ufficio e l’abitudine a misurare gli straordinari in ore aggiuntive di lavoro/presenza hanno contribuito all’inerzia che ha frenato l’adozione dello smart working prima di questa emergenza” aggiunge Viele. Ora è tutto cambiato con i decreti del Governo sull’onda dell’epidemia di coronavirus.

Nelle aziende oltre alla normativa del lavoro e alle abitudini contrattuali ha fatto da freno anche “l’organizzazione interna – spiega Viele – e l’organizzazione del processo decisionale ha spesso impedito che si sviluppasse in pratica il lavoro a distanza”.

Di certo la case history di Engineering, di azienda che ha fatto dello smart working una modalità stabile di organizzazione del lavoro, assemblando le attività di gruppi di lavoro sparsi in una quarantina di sedi diverse, resta un esempio di eccellenza. “Abbiamo imparato dalle community open source, Linux, Android” conclude Viele: si può fare.

Marco Barbieri

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