Giordano Fatali è fondatore e presidente di Hrc Group, una realtà associativa che coinvolge qualche centinaio di aziende e molti dei dirigenti dell’area “Risorse Umane”. Una delle maggiori comunità di manager Hr (Human resources)che riunisce le più importanti e prestigiose aziende nazionali e multinazionali, che attraverso il benchmarking, il problem solving, il networking, lo scambio di conoscenze e competenze su temi Hr, grazie a strumenti di lavoro efficaci e flessibili, è in grado di rispondere alle necessità della professione e dell’azienda, secondo modalità sia online che offline, local e global. Da molti anni Hrc Group organizza eventi e confronti su tutti i temi che segnano la trasformazione nelle organizzazioni del lavoro. Da tre anni un evento specifico Well@Work - contrassegna il mondo degli Hr (direzioni risorse umane), una comunità professionale che si è ritrovata sotto i riflettori in forza dell’emergenza Covid e della nuova centralità del capitale umano. Tutte le aziende lo ripetono: people centricity. Un mantra, che all’orecchio meno attento potrebbe somigliare a un’operazione di marketing. Certamente la crisi Covid-19 ha portato al centro del dibattito il tema del capitale umano. La ripresa non potrà che passare da una fragilità gestita e da una flessibilità necessaria.
Fatali, il quarto appuntamento di Well@Work arriva alla fine dell’incubo Covid. Potrebbe essere il momento di fare qualche bilancio e di rilanciare qualche prospettiva. Che cosa resterà di questa lunga emergenza sanitaria e sociale nel mondo del lavoro?
«L’emergenza Covid-19 ha accelerato un processo di trasformazione, che in parte era già in atto. Lo smart working ha infatti portato le aziende non solo a velocizzare i processi di digitalizzazione e formazione delle competenze, ma soprattutto a modificare la propria cultura aziendale, basata sulla capacità di coniugare maggiore flessibilità e autonomia con una forte responsabilizzazione sui risultati».
È cambiato il ruolo degli Hr manager, in questo periodo. L’emergenza sanitaria ha imposto un’attenzione nuova e rinnovata verso le persone e i collaboratori dell’azienda. Come ha visto questa trasformazione?
«La figura dell’Hr manager negli anni ha subìto una forte evoluzione. Dall’essere percepito prima come rappresentante dell’Azienda, poi come responsabile dell’efficientamento di processi e relazioni industriali, per arrivare infine ad essere un change agent, un vero e proprio agente del cambiamento, che costruisce il cambiamento coinvolgendo tutti gli stakeholders interni e facendoli sentire motore di un progetto di sviluppo dell’azienda».
Si ripete come un mantra: la persona al centro. E poi: ripartire dal capitale umano. Se le risorse umane sono al centro dell’attenzione delle aziende è lecito aspettarsi che in questa evoluzione gli Hr director sono più influenti nei board aziendali?
«La centralità dei direttori del personale o delle risorse umane, come si diceva una volta, si traduce in esercizio della leadership, capacità di gestione e abilitazione del cambiamento e comunicazione.
Come stanno cambiando le aziende? La rivoluzione del Covid-19, con il suo obbligo di distanziamento ha rivoluzionato le organizzazioni del lavoro. E come cambiano i processi produttivi, quelli decisionali, quelli relazionali?
«Il percorso lavorativo è cambiato e va gestito mettendo la persona al centro. Con l’edizione di quest’anno di Well@Work – che si terrà il prossimo 19 maggio (per consultare il programma e partecipare a Well@Work 2021: https://community.hrcigroup.com/eventi/well-at-work-2021-charge-the-energy/, ndr) gli oltre 500 responsabili Hr della nostra community si confronteranno proprio sul tema del benessere organizzativo e di come si declinerà nel new normal. Un’organizzazione complessa come quella aziendale funziona infatti solo se al lavoratore vengono assicurate le skills e se gli viene data libertà e autonomia per esprimerle. In un mondo in continua mutazione, il vero valore aggiunto in termini di crescita e produttività è dato dall’ingaggio del lavoratore».
Cambiano le organizzazioni del lavoro, si va verso una nuova normalità fatta anche di luoghi di lavoro diversi. Dal distanziamento sanitario alla remotizzazione funzionale. Smart working e welfare aziendale: il primo è destinato a cambiare il secondo. Come?
«L’emergenza Covid ci ha insegnato che è necessario adottare politiche e piani di welfare che consentano alle persone di godere del supporto e degli incentivi necessari. Con lo smart working, le aree su cui investire sono la sicurezza, la salute, l’up e il reskilling. L’emergenza sanitaria ha spinto le aziende a provvedere alla tutela della salute e alla sicurezza dei collaboratori. In un secondo momento, si è poi garantita loro una formazione in linea con le nuove abilità richieste. Ed infine siamo approdati al well-being, perché lavorare “sul” e “per” il benessere dei dipendenti significa farli sentire parte della comunità che è l’azienda».
Benessere e protezione dai luoghi di lavoro aziendali ai luoghi di lavoro domestici: ci sarà un welfare a domicilio? Comunque, come deve attrezzarsi la nuova risposta ai bisogni dei lavoratori, ai nuovi disagi, alle nuove richieste di protezione sociale?
«Il welfare deve garantire servizi che rispondano alle esigenze del lavoratore a prescindere da dove si svolge la prestazione lavorativa. Perché queste politiche siano efficaci, è necessario però che vengano incontro ai reali bisogni delle persone e che si possa misurarne l’impatto in termini di benefici per la popolazione aziendale. Questo è il passaggio da un Welfare tradizionale ad un Welfare 4.0, integrato all’interno delle strategie dell’impresa e soggetto a valutazione e rimodulazione, che rappresenta un asset per la competitività delle aziende».
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