Covid, rivoluzione lavoro: i responsabili delle risorse umane protagonisti della crisi. Ecco cosa cambia

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di Marco Barbieri
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Martedì 27 Aprile 2021, 08:17

La persona al centro? Allora anche le funzioni aziendali che si occupano delle persone – del capitalo umano, dei collaboratori, dei dipendenti – sono diventate il centro delle imprese e dei board aziendali? Forse. Ma comunque non sempre, nella visione realistica di Paolo Boccardelli, direttore della Luiss Business School. Certamente lo tsunami che ha investito le aziende e le loro organizzazioni ha portato al centro dell’attenzione l’operato dei direttori delle Risorse Umane. Gli Hr manager sono finiti in prima linea. Non proprio come i virologi che hanno riempito gli schermi televisivi, ma come forse mai era successo nei decenni precedenti. Agenti del cambiamento, come sostiene Giordano Fatali, fondatore di Hrc , che hanno dovuto improvvisare soluzioni, elargire consigli, imbastire e gestire programmi di aggiornamento. Senza rete. Ma con tanti confronti, con centinaia di video call.

ASCOLTARE DI PIÙ

«Credo nelle cose che faccio. E parlare di people centricity non è un modo di dire o una forma di marketing. Si tratta di uno dei driver fondamentali in questa fase di vita delle organizzazioni del lavoro. E’ cambiato il ruolo delle persone in azienda. Bisogna ascoltare di più. Bisogna tenere conto dell’humus valoriale che ciascuno porta con sé. E stimolarne l’imprenditorialità attraverso l’esercizio della delega». Paola Boromei, direttore Risorse umane e Organizzazione in Snam è tra quelle che si è sentita “al centro” delle attenzioni del board, «anche se nel nostro caso abbiamo da sempre potuto contare su un capo-azienda più che attento ai temi del capitale umano. Il nostro ad, Marco Alverà, ha sempre posto come obiettivo forte il cambiamento della mentalità. L’evoluzione della cultura aziendale è stato un obiettivo alla pari del perseguimento degli obiettivi di business e di mercato». Questa attenzione al cambiamento per Boromei ha voluto dire percepire una nuova capacità dei manager dell’azienda: «Per fare il “capo” da remoto occorre bucare lo schermo». Come una star televisiva. Considerazione tutt’altro che scontata: uno dei tanti segnali di cambiamento irreversibile introdotti nelle organizzazioni del lavoro dall’emergenza Covid. Il 2020 è stato un anno di sperimentazione. E il 2021 ne sta facendo tesoro. Le organizzazioni del lavoro si stanno trasformando, ben oltre le etichette dello smart working, qualunque cosa voglia dire: lavoro agile, lavoro da casa, lavoro semplicemente da remoto. Le attenzioni sviluppate per il capitale umano si manifestano in piani di welfare più protettivi, più rivolti al benessere, e soprattutto si propongono di dare una nuova figura all’attività. «I concetti di tempo e spazio di lavoro sono destinati a essere modificati per sempre», commenta Maria Luisa Sartore, head of Hr Bp and Labour Relations di Bayer Italia. E ancora: «E’ avvenuta una rivoluzione nelle organizzazioni del lavoro, che può essere paragonata solo a quanto era avvenuto ai tempi della rivoluzione industriale. La metamorfosi è ancora in atto. L’anno appena trascorso ci ha dato scossoni imprevedibili. Quest’anno abbiamo provato a immaginare le prime nuove soluzioni». Dal primo aprile è sparita la timbratura del cartellino. Una rivoluzione epocale. «Inizia un’era ibrida per la prestazione di lavoro, almeno per i white collar, per cominciare – spiega Sartore – non ci sarà più una indicazione cogente sul luogo di lavoro. Al netto delle necessità di interazione con i gruppi di appartenenza, il luogo di lavoro sarà ovunque. Diventa così strutturale quell’approccio all’organizzazione del lavoro, basato sulla responsabilizzazione e sulla condivisione degli obiettivi». «L’esperienza vissuta nell’ultimo anno ha consolidato una nuova consapevolezza; un modo di lavorare e di vivere l’azienda che si basa sulla fiducia, sulla responsabilità e sulla cultura dei risultati mettendo sempre al centro le persone – aggiunge Sartore - Abbiamo la possibilità di contribuire a scrivere una nuova pagina del lavoro, che vede superare la cultura del controllo dell’orario di lavoro».

LEADERSHIP GENTILE

Ma potrebbe essere superata anche la logica dell’headquarter aziendale, sostituito da un futuro hub quarter. Una percezione che mette insieme una grande azienda come Enel e una media impresa come Aboca. Guido Stratta, direttore People and Organization del Gruppo Enel non solo immagina la nascita di tanti hub quarter dove si ricomporrà il lavoro da remoto, ma non più da casa. Stratta pensa anche a un leadership “gentile” del manager post-Covid, orientata a indirizzare al risultato e non al controllo; come vorrebbe la filosofia dello smart working. «Il luogo di lavoro cambia, prevarranno spazi di coworking, dove ricomporre i contatti fisici possibili, dove possibile. La filosofia di Aboca manifesta la sua creativa flessibilità anche in questa stagione di profondi ripensamenti organizzativi», sostiene Antonio Guarrera, Hr manager dell’azienda agricola e farmaceutica che ha fatto della sostenibilità un suo marchio specifico. «Non si potrà tornare indietro. I luoghi di lavoro non saranno più gli stessi. Le scrivanie personali non esisteranno più, le postazioni di lavoro saranno prenotabili in relazione alla necessità od opportunità di andare in sede. Ma anche la sede dell’azienda è un concetto in evoluzione. Stiamo preparando uno spazio di coworking anche a Roma». Per un’azienda per lo più concentrata tra Arezzo e Perugia, con la sede storica – che dà il nome all’azienda – nel territorio comunale di Sansepolcro, il modello dell’azienda diffusa è più naturale che per altre.

I VALORI

«Avere cura del benessere delle persone, facendo sentire i nostri collaboratori come elementi centrali per la realtà in cui lavorano, è uno dei valori fondamentali della cultura aziendale di Boehringer Ingelheim. Per noi è fondamentale che le nostre persone vivano questa centralità e, per questo, siamo da sempre fortemente impegnati nella promozione di iniziative mirate a creare un ambiente di lavoro in grado di favorire la crescita e lo sviluppo professionale dei singoli». Parola di Antonio Barge, direttore Hr di Boehringer Ingelheim Italia, dove lavorano un migliaio di persone in tre sedi (a Milano, in provincia di Bergamo e in provincia di Padova) compresi i 400 informatori scientifici che operano sul territorio nazionale.

ATTENZIONE ALLE FAMIGLIE

Nelle grandi organizzazioni la risposta è unanime nei modi, nei toni e nella pratica. La persona al centro non è solo un’espressione retorica, ma una prassi operativa, che nasce da una cultura aziendale consolidata. «Sì, al centro dell’impresa ci sono le persone e le loro famiglie – sostiene Laura Bruno, Direttore Risorse umane di Sanofi – ed è quello che i nostri collaboratori hanno sempre apprezzato. Mi ricordo una decina d’anni fa, al tempo del terremoto dell’Aquila, quando l’azienda fu presente portando soldi contanti per le famiglie dei nostri dipendenti che avevano perso tutto, sotto le macerie. L’attenzione è sempre al nucleo familiare nel quale i nostri collaboratori vivono. Il Covid è stato un acceleratore di un processo che nelle grandi imprese era già in atto: ascoltare, ascoltare, ascoltare. E poi rispondere con velocità ai bisogni della salute: video consulti medici, supporti psicologici a distanza, check-up da remoto, fino alla ginnastica posturale insegnata a distanza, nel tempo dello smart working. Così come la capacità di sostituire i campus estivi per i figli dei dipendenti con innovative modalità di supporto a domicilio». Per Bruno c’è anche di più, e anche questo riguarda l’orizzonte del benessere in azienda: «L’emergenza Covid ha sdoganato le emozioni. Ha reso l’ascolto più attento anche alla componente emotiva. Nelle survey che abbiamo continuato a fare abbiamo voluto sentire anche la voce che si alzava per singole necessità o inquietudine». L’emozione ha un suo volto. Quello delle persone che lavorano e che vivono ansie e preoccupazioni. E che finalmente le possono comunicare, condividere, affrontare. Per risolverle insieme.

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