Confindustria: il welfare messo a contratto

Confindustria: il welfare messo a contratto
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Venerdì 10 Gennaio 2020, 16:00 - Ultimo aggiornamento: 21 Gennaio, 20:00

Più contratti, più welfare e meno assenteismo, i risultati dall’Indagine Confindustria sul Lavoro 2019

L’annuale indagine Confindustria sulle condizioni dell’occupazione nelle aziende associate (elaborata da Giovanna Labartino, Francesca Mazzolari e Giovanni Morleo) registra che nel 2019 nell’industria in senso stretto il 66,1% dei lavoratori sono coperti da un contratto aziendale che prevede l’erogazione di premi variabili collettivi. La contrattazione aziendale di contenuto economico è meno diffusa nei servizi, dove i lavoratori coperti sono il 48,7%.

  • La quota di aziende che stipula tali contratti si ferma mediamente al 29% nell’industria al netto costruzioni e al 13,7% nei servizi — percentuali più basse rispetto a quelle della forza lavoro coperta data la maggiore diffusione dei premi nelle imprese più grandi.
  • Negli ultimi anni, anche sulla scia del regime fiscale agevolato riconosciuto in via strutturale alle retribuzioni premiali legate ad incrementi di produttività aziendale, la diffusione della contrattazione di secondo livello è cresciuta sia nell’industria sia nei servizi. Sulla base delle risposte delle imprese che hanno partecipato all’indagine in ciascuno degli ultimi tre anni, è infatti aumentata tra i 2 e i 5 punti percentuali, a seconda della dimensione aziendale.
  • Oltre alla corresponsione di premi, più di un quarto dei contratti aziendali prevede oggi la possibilità che questi siano convertiti in welfare (35%). La previsione di tale opzione è in forte crescita, su livelli pari a oltre a una volta e mezza rispetto a quelli del 2018.
  • La diffusione di forme di partecipazione dei lavoratori agli utili e quella di forme di coinvolgimento paritetico dei dipendenti nell’organizzazione, pur attestandosi su livelli decisamente più bassi, sono altresì in crescita, raggiungendo nel 2019 rispettivamente il 4,8% e il 7,8%.
  • Il 60,2% delle imprese associate mette attualmente a disposizione dei propri dipendenti non dirigenti almeno un servizio di welfare. La forma più diffusa si conferma l’assistenza sanitaria (45,9%), seguita da previdenza complementare (28,7%), mense (21,1%) e fringe benefits (19,7%). Più bassa la diffusione di “carrello della spesa” (9,8%) e contributi per l’assistenza a familiari anziani o non autosufficienti (3,8%), ma per entrambe le voci si stima una forte crescita dal 2017 sulla base del campione di imprese osservate anche negli anni precedenti.
  • Nel 2019 quasi un’azienda associata su 10 (1 su 5 tra quelle di grandi dimensioni) ha introdotto forme di “lavoro agile”, ovvero modalità di svolgimento del lavoro flessibili in termini di orario e luogo. Nel campione longitudinale la diffusione del cosiddetto smart working risulta in forte aumento, quasi raddoppiando tra 2018 e 2019.

Un’impresa su cinque applica un contratto aziendale, quasi una su tre nell’industria 

Secondo la rilevazione condotta tra febbraio e aprile 2019, si stima che il 21,0% delle aziende associate a Confindustria applica attualmente un contratto collettivo aziendale che prevede l’erogazione di un premio variabile collettivo. Si riscontrano ampie differenze per settore e dimensione aziendale. Nell’industria al netto delle costruzioni la diffusione della contrattazione aziendale di contenuto economico si attesta in media al 29% (contro il 13,7% nei servizi), passando dal 10,6% tra le aziende fino a 15 addetti al 32,4% tra quelle con 16-99 addetti, e raggiungendo il 76,8% tra quelle con 100 e più addetti. Dato che i contratti aziendali sono più diffusi tra le imprese di maggiore dimensione, la copertura dei premi variabili collettivi è più elevata se espressa in termini di lavoratori: 58,7% su un totale di oltre 5 milioni di lavoratori occupati in aziende associate a Confindustria. Tra le imprese dei servizi i lavoratori coperti sono il 48,7%, nell’industria al netto delle costruzioni il 66,1% (Figura A).

Più contratti aziendali dal 2016, specie per imprese piccole e dei servizi

Nell’indagine di quest’anno alle imprese con esperienza di contrattazione aziendale è stato chiesto a quando risaliva il primo contratto. Tra quelle che attualmente applicano un contratto aziendale:

  • il 12,0% lo fa dal 2016, ovvero da quando è stato introdotto in via strutturale un regime fiscale agevolato sulle retribuzioni premiali legate ad incrementi di produttività aziendale. Per le imprese di piccola dimensione (fino a 15 addetti), la percentuale per cui l’applicazione è recente sale mediamente al 19,7% (16,7% nell’industria in senso stretto e 35,7% nei servizi);
  • l’8,4% ne aveva già applicato uno nei quattro anni precedenti, ovvero tra il 2012 e il 2015;
  • per il restante 79,6% qualche tipo di contratto aziendale di contenuto economico era stato applicato anche prima del 2012.

Premi collettivi incidono più per operai e impiegati

Per il personale non dirigenziale, l’incidenza dei premi variabili collettivi sulla retribuzione annua complessiva è simile per operai e impiegati, rispettivamente pari al 3,3% e 3,5%, mentre tra i quadri scende al 2,6%. Nell’industria al netto delle costruzioni l’incidenza dei premi è mediamente più elevata che nei servizi e risulta particolarmente alta nelle imprese oltre i 100 dipendenti: 5,1% per gli operai e 4,6% per gli impiegati.

Non solo premi nei contratti aziendali

Tra le imprese che applicano un contratto aziendale che prevede l’erogazione di un premio variabile collettivo, in oltre il 35% dei casi lo stesso contratto prevede anche la possibilità (su richiesta del lavoratore) che il premio sia convertito in welfare. L’opzione è più diffusa al crescere della dimensione aziendale: nell’industria in senso stretto è prevista dal 27,0% dei contratti in imprese fino a 15 dipendenti, dal 29,7% in quelle con 16-99 addetti e da quasi la metà (48,1%) in quelle con 100 addetti e più.

Per quanto riguarda altre previsioni contenute nei contratti aziendali, forme di partecipazione dei lavoratori agli utili sono previste nel 4,8% dei casi, mentre forme di coinvolgimento paritetico dei dipendenti nell’organizzazione sono previste nel 7,8% dei casi.

Variegata l’offerta di benefit ai dipendenti

Da qualche anno l’indagine monitora la diffusione del welfare a livello aziendale. I risultati indicano che nella prima metà del 2019 il 60,2% delle imprese associate a Confindustria metteva a disposizione dei propri dipendenti non dirigenti uno o più servizi di welfare. La diffusione del welfare è più elevata nell’industria e nelle imprese grandi; come nel caso dei premi collettivi, la maggiore diffusione nelle aziende di grande dimensione eleva la quota complessiva di lavoratori a cui tali servizi sono messi a disposizione.

Nel welfare aziendale prevale l’offerta di sanità integrativa e previdenza complementare. Nello specifico, quasi la metà delle aziende associate versa contributi in fondi di assistenza sanitaria integrativa a favore dei propri dipendenti (45,9%), principalmente in applicazione di quanto previsto dai Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (39%). La diffusione della previdenza complementare è al 28,7%, anch’essa soprattutto in attuazione di CCNL (24,5%). Per entrambe le forme di welfare la percentuale di imprese che le mettono a disposizione dei propri dipendenti schizza tra quelle grandi, in particolar modo nell’industria (81,5% e 75,6% rispettivamente).

In termini di diffusione, seguono le somministrazioni di vitto (per esempio tramite mense aziendali) e i fringe benefit (tra cui autovetture ad uso promiscuo o prestiti agevolati), messi a disposizione da circa una su 5 aziende (21,1% e 19,7%), in entrambi i casi principalmente per decisione unilaterale (12,7% e 15,8%).

Somme e servizi con finalità di educazione, istruzione o ricreazione rivolti ai dipendenti sono erogati dal 6,6% delle imprese. Una quota molto simile li eroga a favore di familiari dei dipendenti (6,8%). Le percentuali si quadruplicano tra le grandi imprese.

Mediamente al 9,8% (20,9% per le grandi imprese) la diffusione del “carrello della spesa”, un altro tipo di erogazione che offre un concreto sostegno al potere di acquisto dei dipendenti, ancor più se distribuito con accordi con specifici esercenti. Al 3,4% la diffusione di servizi di trasporto collettivo (11,1% tra le grandi imprese industriali).

Al 3,8% la diffusione di forme di assistenza ai familiari anziani o non autosufficienti, voce che probabilmente prenderà peso in futuro sia per la recente estensione degli incentivi fiscali a questa forma di welfare sia per la crescente domanda a fronte dell’invecchiamento della popolazione. Nell’industria in senso stretto, tra le grandi imprese ormai più del 15% offre questo tipo di benefit ai dipendenti.

Come già messo in evidenza, la diffusione del welfare aziendale cresce con la dimensione di impresa. Tra le imprese più grandi si registra anche l’incidenza più elevata della previsione di welfare da contratto aziendale. Concentrandoci sui tipi di benefit più diffusi, tra le imprese con 100 o più addetti, il 10,3% offre assistenza sanitaria integrativa prevista da contratto aziendale, il 9,1% previdenza complementare e il 19,8% qualche forma di vitto. Nel caso dei fringe benefit, invece, la previsione da contratto aziendale scende al 6,9%, perché di gran lunga prevalente rimane la concessione (per decisione) unilaterale del datore di lavoro (Tabella A).

Lavoro agile in quasi un’azienda su dieci…

Per il secondo anno consecutivo, l’indagine Confindustria ha approfondito il tema dell’organizzazione del lavoro, monitorando la diffusione di forme di lavoro agile, ovvero modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno, senza postazione fissa. Sulla base della rilevazione effettuata nei primi mesi del 2019, si stima che l’8,9% delle imprese associate a Confindustria abbia introdotto forme di smart working, una su 5 tra quelle con 100 o più addetti (20%). La diffusione è mediamente più ampia nei servizi che nell’industria (11% rispetto a 7,3%).

… e un tema interessante anche in molte aziende che non l’hanno introdotto

Si stima che un altro 10% di aziende, pur non avendolo ancora introdotto, consideri il lavoro agile un tema interessante da affrontare.

Con riferimento alle modalità di disciplina, tre volte su quattro, se introdotto, lo smart working è regolato solo da accordi individuali (76,4%). Vi è un 19,5% di aziende che tuttavia ha introdotto anche una regolamentazione aziendale e un 8,6% che include il tema nella contrattazione collettiva aziendale.

Nelle imprese più grandi è più frequente che agli accordi individuali si affianchi anche una regolamentazione aziendale (29,8% dei casi) e/o la contrattazione aziendale (22,7%).

Per quanto riguarda la diffusione del welfare, si osserva una crescita nel triennio che interessa tutti i tipi di servizi considerati (Figura C). Gli aumenti maggiori si registrano per due tipologie, ovvero:

  • il “carrello della spesa” (spesso erogato tramite la corresponsione di voucher);
  • somme e servizi per l’assistenza ai familiari anziani o non-autosufficienti dei dipendenti.

La diffusione di entrambi i benefit partiva da livelli molto bassi, ma quadruplica nell’arco del triennio. L’aumento della diffusione di entrambe le tipologie è da leggere alla luce dei cambiamenti normativi introdotti dalla Legge di bilancio 2016, che ha ampliato la lista di beni e servizi “non imponibili” di cui all’art.51 del TUIR (includendovi, in particolare, i servizi di assistenza ai familiari anziani o non autosufficienti) e confermato la possibilità di fruire del beneficio fiscale anche qualora i benefit siano erogati ai dipendenti tramite voucher.

Sull’aumento osservato incidono anche altri fattori concomitanti. Nel caso dell’assistenza ai familiari anziani, è in atto un incremento strutturale della domanda di questi servizi, per esigenze di cura legate alla maggiore longevità. Sulla maggiore diffusione del carrello della spesa incide quanto contenuto nel CCNL metalmeccanico del 26 novembre 2016, ovvero che, a partire dal 1° giugno 2017, le aziende attivassero, per tutti i lavoratori dipendenti, piani di flexible benefits, per un importo di 100 euro nel 2017, 150 euro nel 2018 e 200 euro nel 2019 –requisito che spesso le imprese hanno soddisfatto fornendo voucher. Non a caso, l’aumento della diffusione del carrello della spesa è particolarmente marcato nel comparto metalmeccanico.

Infine, anche per quanto riguarda la diffusione del lavoro agile si osserva nel campione longitudinale un forte incremento tra 2018 (primo anno in cui se ne è rilevata la presenza) e 2019. La percentuale di imprese che dichiara di aver introdotto forme di smart working quasi raddoppia da un anno all’altro, con incrementi di simile intensità in tutte le classi dimensionali e settori osservati.

In calo il tasso di assenteismo

Nel corso del 2018 le ore lavorabili pro-capite, al netto delle ore di Cassa Integrazione Guadagni, sono state mediamente pari a 1.653 (+0,6% rispetto al 20172). Di queste, 101 non sono state lavorate a causa delle assenze dal lavoro (retribuite e non), -6,5% dalle 108 nel 2017. Il tasso di assenteismo (calcolato come il rapporto tra le ore di assenza e le ore lavorabili) è risultato in calo, attestandosi al 6,1% dal 6,5% dello scorso anno.

L’incidenza delle assenze è aumentata, seppur lievemente, nell’industria in senso stretto (da 5,9% a 6,1%), mentre nei servizi è diminuita dal 7,6% al 6,2%.

Il tasso di assenteismo si è confermato crescente all’aumentare della dimensione aziendale: 6,7% in quelle con 100 e più adetti, 4,3% in quelle fino ai 15 (Figura D).

Causali di assenza diverse per genere

La malattia non professionale si è confermata la causa più frequente di assenza (3,2% delle ore lavorabili), seguita dai congedi retribuiti (1,2%) e dagli altri permessi retribuiti (1,1%), che includono i permessi sindacali e quelli per visite mediche o accompagnamento parentale. L’incidenza delle assenze è risultata pari al 5,2% tra gli uomini e all’8,7% tra le donne. I congedi parentali spiegano quasi il 75% della differenza, essendo pari al 3,0% delle ore lavorabili per le donne e allo 0,4% per gli uomini, a causa degli oneri di accudimento familiare, visto che quelli a carico del genere femminile sono di gran lunga maggiori.

In ulteriore calo il ricorso alla CIG

Nel 2018, in media d’anno, scende ulteriormente la quota di imprese industriali che ha avuto almeno un lavoratore in Cassa Integrazione: l’ultima rilevazione indica una diffusione pari al 17,9% (era pari al 19,4% nel 2017, al 24,7% nel 2016 e 36,7% del 2015).

Nell’industria l’incidenza delle ore di CIG su quelle lavorabili è rimasta più elevata per gli operai (1,7%, corrispondente a 27,7 ore pro-capite, dal 2,5% nel 2017); per l’addetto medio è dell’1,1% (corrispondente a 17,7 ore pro-capite) dall’1,6% dell’anno precedente.

Nei servizi la diffusione della CIG, strutturalmente limitata rispetto all’industria, si attesta al 2,0%, dal 3,0% nel 2017 e dal 4,0% del 2016. L’incidenza media delle ore di CIG sulle ore lavorabili è allo 0,5%, in calo dallo 0,9% del 2017.

Dato che l’Indagine Confindustria raccoglie informazioni sul ricorso alla CIG durante l’intero anno precedente la rilevazione, non è possibile valutare variazioni in corso d’anno, quali l’aumento delle autorizzazioni di ore di CIG mappato invece negli archivi INPS a partire dall’autunno 2018 e confermato per la prima metà del 2019. Se le autorizzazioni rimarranno elevate per il resto dell’anno in corso, il fenomeno sarà rilevato nella prossima edizione.

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