Sui 350 miliardi di sussidi per l'economia Usa il fantasma del “liberi tutti”. Per l'Europa serve un piano sul modello Recovery

Ursula von der Leyeb e Joe Biden
di Gabriele Rosana
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Venerdì 23 Dicembre 2022, 09:29

Il 2023 dell’Europa si apre all’insegna delle fibrillazioni transatlantiche causate dall’Inflation Reduction Act (Ira) di Joe Biden per sostenere le industrie americane impegnate nella transizione ecologica e per stimolare i consumi made in Usa. Tengono banco da mesi, da subito dopo Ferragosto, e non accennano a placarsi, soprattutto ora che il provvedimento è prossimo all’entrata in vigore. Bruxelles ha ben chiaro che il maxi-piano di investimenti e sussidi a stelle e strisce, dal valore di 369 miliardi di dollari (circa 350 miliardi di euro), di fatto colpisce al cuore la competitività globale delle imprese europee. Con conseguenze dirompenti, a cominciare dalla spinta a delocalizzare Oltreatlantico che mette a rischio il tessuto industriale e i posti di lavoro in Europa. Dai pannelli solari alle pale eoliche, dalle lavatrici eco fino alle auto elettriche: il nuovo terreno su cui si misureranno Ue e Usa è dentro il binario dell’innovazione green. E passa per la necessità, da parte dell’Ue, di calibrare equivalenti sostegni pubblici in favore dell’industria del continente.

L’ARSENALE

Entro fine gennaio, la Commissione presieduta da Ursula von der Leyen predisporrà una risposta articolata per mobilitare gli strumenti presenti nell’arsenale europeo, tanto a livello nazionale, quanto (ma qui la strada è in salita) a livello Ue. Il pacchetto dell’esecutivo europeo, anticipato da uno schema in quattro punti delineato da von der Leyen, arriverà in tempo per il summit dei leader convocato in via straordinaria per il 9-10 febbraio prossimi. Sarà quello il momento della verità per capire i contorni del braccio di ferro che Bruxelles vorrà ingaggiare con Washington. Senza, beninteso, minare l’unità sui fronti comuni, dall’invasione russa dell’Ucraina alla rivalità sistemica con la Cina.

WAIT AND SEE

Nonostante il tour de table sul tema delle relazioni transatlantiche (il primo in due anni), il Vertice del 15 dicembre scorso non ha adottato alcuna conclusione. Un segnale da “wait and see” per dare ancora margini (benché sempre più limitati) alle diplomazie in modo da appianare i contrasti sulla base dei contatti della task force Ira e del Trade and Technology Council bilaterale. L’Europa, in particolare, chiede all’America parità di condizioni. E in questo non è da sola: tutto il fronte occidentale, dal Giappone al Regno Unito, fino alla Corea del Sud, reclama risposte da Washington.

IL PAPER CONGIUNTO

Dopo la visita di Stato di inizio dicembre alla Casa Bianca del presidente francese Emmanuel Macron - portavoce di un’Europa che non fa mistero di voler diventare leader dell’industria verde - Biden ha assicurato che ci sono ancora margini per tener conto delle preoccupazioni Ue e introdurre correttivi. Come, ad esempio, l’estensione all’Ue delle eccezioni concesse alle e-car di Canada e Messico, per cui gli acquirenti statunitensi godono (al pari delle vetture elettriche assemblate negli Usa) di un credito d’imposta pari a 7.500 dollari. È questa, anzitutto, la richiesta che Francia e Germania hanno affidato a un “paper” congiunto pubblicato il 19 dicembre, con l’obiettivo di ispirare il testo che la Commissione dovrà presentare a febbraio.

Come in tutte le partite chiave per il futuro dell’Ue e, in particolare, per l’irrobustimento della sua base industriale - dai microchip alle materie prime critiche - Parigi gioca di sponda con Berlino. «Abbiamo bisogno di una politica industriale europea comune che ci dia la possibilità di prevenire gli effetti collaterali delle misure protezionistiche adottate da Paesi terzi» e «consenta alle nostre imprese di competere sul piano globale», è il messaggio congiunto scandito dai rispettivi ministri dell’Economia Bruno Le Maire e Robert Habeck, che a inizio gennaio si recheranno insieme negli Stati Uniti. Ciò significa, anzitutto, come precisato anche da von der Leyen nel suo piano d’azione, definire meglio un nuovo quadro per abilitare la politica industriale green dell’Ue. Anche l’Europa deve poter liberare le sue sovvenzioni economiche all’industria, in particolare semplificando e accelerando gli schemi necessari a ottenere il via libera di Bruxelles agli aiuti di Stato, è il ragionamento di Parigi e Berlino. Bruxelles è pronta a lavorarci, nonostante forti resistenze della stessa zarina della Concorrenza Ue, la vicepresidente della Commissione Margrethe Vestager. Tra poche settimane, portata a termine la consultazione tra i governi, l’esecutivo Ue diffonderà nuove linee guida.

IL BOOMERANG

Tra i Paesi dell’Unione, tuttavia, monta l’allarme: il quasi liberi tutti potrebbe rivelarsi un boomerang per gli Stati, come l’Italia, che hanno margini fiscali troppo ridotti per potere mobilitare i propri bilanci a sostegno delle imprese nazionali. Per riequilibrare le condizioni di partenza, ed evitare una corsa senza freni in particolare della manifattura tedesca a discapito del resto del continente, è la versione delle diplomazia del Sud Europa, servirebbe semmai un nuovo piano di sostegni comuni come ai tempi del Recovery Plan, quando fu evidente che lasciare ciascuno Stato libero di fare da sé avrebbe creato enormi disparità economiche. L’identikit porta dritto a quello che von der Leyen chiama il Fondo per la sovranità Ue. In buona sostanza, nuovo debito comune per evitare distorsioni che finirebbero per minare il mercato unico e favorire le industrie dei più forti a scapito dei Paesi maggiormente indebitati. Ecco, il vero tabù nella contesa con gli Usa non è localizzato in America, ma in Europa. La Germania non ne vuole sapere di nuova mutualizzazione del debito, e in questo si allontana dall’entente industriale con la Francia. Tanto che sul punto il “paper” non getta il cuore oltre l’ostacolo e si limita a far appello «ai tanti fondi Ue già esistenti». È il motto che in tutti questi mesi, ribadito da tedeschi e olandesi, ha frenato l’Europa nella ricerca di fondi anti-crisi per il caro-energia. Ma senza un nuovo scatto di reni come nell’estate 2020, l’iniziativa per reagire alla fuga in avanti degli Usa potrebbe rivelarsi un’arma spuntata. O, peggio, un autogol.

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