Stato padrone, ma solo per vigilare. I nodi: Rete Tim, ex Ilva, Priolo e Ita Airways

Stato padrone, ma solo per vigilare. I nodi: Rete Tim, ex Ilva, Priolo e Ita Airways
di Paolo Balduzzi
5 Minuti di Lettura
Venerdì 23 Dicembre 2022, 09:28

Il 2023 segnerà davvero il ritorno della politica industriale italiana? Per decenni il legislatore ha di fatto rinunciato a ricoprire un ruolo attivo; al contrario, è stato spesso in balia della sua stessa eccessiva discontinuità: negli ultimi venti anni si sono alternati ben dodici governi diversi e altrettanti ministri per lo sviluppo economico. In Germania, giusto per un confronto, i governi tra il 2002 e il 2022 sono stati solo sei (e i cancellieri solo tre). Il massimo della politica industriale, a causa di questa implicita debolezza, è stata l’accettazione più o meno passiva di politiche di prepensionamento, salvataggio di imprese fallite, servilismo nei confronti di aziende straniere che desideravano fatturare in Italia senza pagare un euro di imposte. Addirittura, in alcuni recenti casi, l’intervento pubblico è stato controproducente e ha allontanato possibili investitori, spaventati dalla poca propensione del governo a collaborare ma anche dalla poca certezza del sistema di diritto italiano.

TAVOLI APERTI

Non deve stupire quindi che, tra i dossier più caldi oggi sul tavolo del governo, molti affondano tristemente le proprie radici nel passato. Nomi come Ilva (oggi Acciaierie d’Italia) e Alitalia (oggi Ita Airways) non sono più associati a un periodo d’oro che sempre meno persone ricordano; al contrario, vengono più facilmente collegati a immagini di eterne lotte e rivendicazioni sindacali, processi infiniti, investimenti sbagliati ed enorme spreco di denaro pubblico. Il 2023 potrebbe essere l’anno della svolta? C’è da augurarselo, naturalmente. Sempre che la politica non ricada nei suoi abituali errori. Ad oggi, i settori roventi sono il siderurgico e le telecomunicazioni ma i tavoli aperti sono almeno quattro: l’ex Ilva e Ita, appunto, Tim e la rete tlc e, ultima arrivata, la gestione della raffineria Lukoil di Priolo.

ACCIAIO STRATEGICO

Settori diversi, problemi diversi, storie diverse che richiederanno, molto probabilmente, soluzioni altrettanto diverse. In primo piano, una strategia di potenziamento competitivo di questi settori a livello nazionale e internazionale, ma anche la necessità di sostenere l’occupazione. I lavoratori coinvolti sono decine di migliaia, così come decine sono i miliardi di investimento che dovrebbero mobilitarsi nei prossimi mesi. Vale la pena di chiarire cosa ci si aspetta. Per quanto riguarda la ex-Ilva, al momento, le trattative sono ancora in alto mare. L’impianto, di proprietà pubblica, è gestito da una società mista, Acciaierie d’Italia, con partecipazione pubblica di minoranza (Invitalia) e privata di maggioranza (ArcelorMittal). Il gruppo indiano, colosso del settore siderurgico mondiale, aveva fatto il suo ingresso nella ex Ilva nel 2018. Il governo Draghi aveva previsto un cambio nei rapporti di forza tra i due soci entro il 2024 ma il governo Meloni, per voce del ministro Urso, sembra essere di tutt’altra opinione: nessuna statalizzazione in vista. Resta il fatto che l’azienda permane in stato di crisi e che il governo dovrà darsi da fare per trovare un accordo con ArcelorMittal o per sostituirlo con un nuovo socio. Anche Ita è ancora a metà del guado, con Lufthansa che si dichiara molto interessata ma al momento ancora alla finestra.

Se il governo riuscisse a chiudere la trattativa con i tedeschi, l’operazione entrerebbe nella storia, chiudendo definitivamente un romanzo di inefficienze e di perdite finanziate da milioni di contribuenti italiani.

L’IMPIANTO DI LUKOIL

Operazione da 1,5 miliardi invece è quella per la cessione della raffineria russa Lukoil a Priolo, in Sicilia. La raffineria, bloccata a causa dell’embargo ai prodotti russi, rischia la chiusura. Il governo ha di fatto commissariato l’azienda attraverso un intervento di amministrazione fiduciaria straordinaria che può durare fino a 24 mesi. L’operazione, sicuramente coraggiosa, dovrebbe permettere sia di salvare i 10mila lavoratori coinvolti sia di continuare a garantire approvvigionamento energetico al paese. Nei prossimi due anni, il commissario dovrà trovare un compratore disposto a rilevare il sito. Non si tratta, nemmeno in questo caso, di una nazionalizzazione della raffineria ma solo di un commissariamento a tempo.

LE TELECOMUNICAZIONI

Infine, eterogenee sono le prospettive per Tim. Una prima possibilità è che l’azienda venga spezzettata e parzialmente ceduta, ipotesi che piace di meno ai sindacati ma sembra avere il favore del governo. Lo Stato, attraverso Cassa depositi e prestiti, vorrebbe assicurarsi il controllo della rete di Tim, con l’obiettivo di potenziare la diffusione della fibra ottica in tutto il paese. Un obiettivo totalmente coerente con la missione di digitalizzazione previsto dal Pnrr. Il resto delle infrastrutture sarebbe ceduto a investitori privati. L’altra ipotesi, all’opposto, prevederebbe una vera e propria operazione di (ri)nazionalizzazione dell’azienda, sempre grazie al ruolo di Cassa depositi e prestiti, e la costituzione di una cosiddetta rete unica nazionale.

RITORNO AL PASSATO

Col rischio di peccare di eccessivo ottimismo, il 2023 potrebbe quindi segnare una differenza sostanziale rispetto agli ultimi decenni. Nella migliore delle ipotesi, potrebbe addirittura ricollegarsi a un passato molto più virtuoso, che ha visto il nostro Paese imporsi nel mondo e diventare, una manciata di lustri dopo la fine della Seconda guerra mondiale, una delle principali potenze industriali. Non è un’ambizione da poco. Anzi, per qualcuno potrebbe essere un rischio troppo grande: un Paese come l’Italia, senza materie prime, sempre più anziano, oppresso da un debito pubblico enorme non può certo pretendere di realizzare delle performance industriali da paese emergente. Pur essendo una grande nazione, sarebbe inutile tornare a inseguire i fasti di un miracolo economico italiano lontano: troppo diversi i tempi, troppo diverse le condizioni.

IL RUOLO PUBBLICO

Inutile costituire una nuova Iri, l’Istituto per la ricostruzione industriale. Lo Stato può benissimo svolgere la sua attività di produzione di beni e servizi, anche privati, limitandosi a partecipazioni pubbliche per mantenere e garantire l’interesse nazionale, stimolando e integrando gli investimenti del settore privato, e infine regolamentando quest’ultimo. L’obiettivo del governo dovrà dunque essere non tanto quello rinnovare un approccio interventista, quanto quello di rinnovare il proprio protagonismo in campo industriale.

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