Pnrr, una scalata tra trappole e marce forzate

Pnrr, una scalata tra trappole e marce forzate
di Andrea Bassi
6 Minuti di Lettura
Venerdì 23 Dicembre 2022, 09:29

Sembra di essere in una tappa di montagna del giro d’Italia o del Tour de France. Si parte in pianura, su un rettilineo, poi arriva qualche salitella morbida e, infine, la scalata. Il governo italiano, nell’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, dopo i primi chilometri sta per iniziare la salita verso quella che potrebbe definirsi l’Alpe d’Huez del programma, l’epica scalata con un dislivello di oltre 1.100 metri che i ciclisti affrontano nel giro di Francia. Fino ad oggi l’Italia ha già ricevuto 67 miliardi di euro per aver raggiunto tutti gli obiettivi previsti fino al primo semestre del 2022. Anche per i 19 miliardi della terza rata, che riguardano i target da chiudere per la fine dell’anno, la strada è abbastanza diritta. Ma è anche vero che fino ad oggi si è trattato di scrivere e attuare riforme, da quella della Pubblica amministrazione alla giustizia, fino ai servizi pubblici locali e alla concorrenza. Nel 2023 invece, una parte rilevante del piano prevede la “messa a terra” dei progetti. Soprattutto quelli infrastrutturali. Comincia, insomma, la salita. E sarà dura, per quanta buona volontà ci possano mettere i ministri del governo Meloni. L’Ance, l’associazione nazionale dei costruttori, ha già provato a fare una “mappa” delle scadenze e delle trappole che il prossimo anno l’attuazione del piano dovrà fronteggiare. Ci sono poco più di 20 miliardi di opere infrastrutturali da appaltare o per le quali avviare i cantieri. E ce ne sono alcuni che già oggi appaiono una sfida molto complessa. A cominciare dall’aggiudicazione entro il quarto trimestre 2023 di tutti gli appalti relativi alla gestione del rischio idrogeologico.

SI PERDONO MILIARDI

 Tema scottante, a maggior ragione dopo la tragedia di Ischia. Si tratta di quasi 2,5 miliardi di fondi del Pnrr che rischiano, in caso contrario, di andare perduti. Entro dicembre del prossimo anno, poi, dovranno essere appaltati anche tutti i lavori per metropolitane, funivie, filovie e piste ciclabili nelle città. Si tratta di bandi per circa 3,6 miliardi. Ci sono poi da spendere i 4,6 miliardi per la costruzione degli asili nido e delle scuole primarie. Il progetto, che dovrebbe aggiungere oltre 264 mila nuovi posti all’offerta di asili, viaggia con molto ritardo, come ha ricordato di recente la Corte dei Conti. I magistrati hanno rilevato un “buco” di 4 mesi e mezzo che ha determinato uno slittamento in avanti delle fasi di progettazione e aggiudicazione delle gare per le imprese costruttrici, che ora presentano delle scadenze molto ravvicinate con la milestone europea del 30 giugno 2023 di aggiudicazione dei lavori con il rischio di pregiudicarne il raggiungimento. Il problema in questo caso, è stata la latitanza dei Comuni del Mezzogiorno, quelli che tra l’altro avrebbero maggiore bisogno di nuovi posti negli asili nido. I sindaci hanno timore di impegnarsi nella costruzione di nuove strutture senza avere la certezza, poi, di poter avere anche il personale per gestirle. Il Pnrr, infatti, non copre la “spesa corrente”, ossia gli stipendi delle maestre e del restante personale.

LA TASK FORCE UE

 Anche gli investimenti sulle reti idriche rischiano di essere un passaggio difficile. Oltre 2,9 miliardi di euro di appalti da assegnare entro la fine dell’anno. Cosa farà allora il governo italiano? Da tempo il ministro Raffaele Fitto, che sull’attuazione del Pnrr ha la delega, ha manifestato l’intenzione di “rinegoziare” con l’Europa alcuni progetti e alcune scadenze. Nelle scorse settimane una delegazione di Bruxelles è venuta a Roma per fare il punto con tutti i ministeri dell’andamento del piano. Gli inviati della Presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, non hanno chiuso a possibili cambiamenti nel piano che, tra l’altro, sono anche previsti dall’articolo 21 del Pnrr.

Ma hanno messo alcuni paletti.

GERMANIA REVISIONISTA

 Il primo e più importante, è che qualunque sia la scadenza ultima del piano non potrà in nessun caso superare il 2026. Di tutto il resto si può discutere, come hanno già fatto anche la Germania (che ha ottenuto la revisione di un progetto) e il Lussemburgo. Se il problema è delle opere, hanno spiegato i membri della task force europea scesi a Roma, allora si può rinunciare a dei progetti che appaiono ormai irrealizzabili e concentrarsi solo su quelli che possono essere portati a compimento nei tempi previsti. La discussione, in realtà, è più complessa. Il governo italiano, pur lasciando inalterata la data di scadenza del 2026, vorrebbe cercare di “ammorbidire” le scadenze intermedie. Anche perché la filosofia del Recovery Plan non è quella della spesa, come per i fondi di coesione europei. Piuttosto è quella della realizzazione delle opere. Il successo del piano, insomma, va valutato sui chilometri di ferrovie costruite, sugli asili nido creati, sulla copertura della rete 5G, e non sull’uso delle risorse. Ma c’è anche un altro problema che il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti e il governo dovranno affrontare il prossimo anno. E anche in tempi brevi: rifinanziare gli aiuti alle famiglie e soprattutto alle imprese sull’energia visto che ormai già è chiaro che il prezzo del gas non scenderà tanto facilmente e in tempi brevi.

SOLDI FINO A MARZO

 Con la manovra sono stati stanziati 21 miliardi per i crediti di imposta e il rafforzamento dei bonus sociali per le imposte. I soldi sono sufficienti fino a marzo. Cosa succederà dopo? Il governo ha intenzione di “copiare” il modello tedesco, ossia assicurare alle famiglie e alle imprese più “fragili” luce e gas a prezzo calmierato. Ma solo fino a una percentuale dei consumi dell’anno precedente. Detto in altri termini, fino al 70-80 per cento dei consumi passati i prezzi saranno fissi e bassi. Superata questa soglia si pagherà invece il prezzo di mercato. Il problema è che si tratta comunque di una misura costosa. I soldi, allora, potrebbero arrivare almeno in parte dal programma RepowerEu, da cui l’Italia dovrebbe attingere circa 9 miliardi di euro, e che diventerà un nuovo capitolo del Pnrr. C’è poi un secondo messaggio che gli uomini di Bruxelles hanno lasciato a Roma: sulle riforme non si può indietreggiare. Vanno portate avanti senza se e senza ma. Lo ha ribadito anche il Commissario europeo per l’economia Paolo Gentiloni con l’approvazione della manovra di Bilancio italiana. Quanto all’eventuale rinegoziazione di alcune parti del Piano, soprattutto in relazione al forte aumento dei prezzi delle materie prime che hanno squilibrato non pochi progetti, sono già state avviate le riunioni a livello tecnico con la Commissione Ue. Con Bruxelles l’Italia vuole però «lavorare e dialogare, non arrivare allo scontro», ha precisato il ministro Fitto che ha anche anticipato che a gennaio presenterà una relazione sullo stato del Pnrr che sarà inviata al Parlamento. E, si presume, anche a Bruxelles.

© RIPRODUZIONE RISERVATA