Franco Bernabè, presidente Acciaierie d'Italia: «Sarà un anno duro, solo nel 2024 i prezzi dell'energia cominceranno a scendere»

Franco Bernabè, presidente Acciaierie d'Italia: «Sarà un anno duro, solo nel 2024 i prezzi dell'energia cominceranno a scendere»
di Giusy Franzese
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Venerdì 23 Dicembre 2022, 09:28 - Ultimo aggiornamento: 25 Febbraio, 12:40

Finora, a dispetto delle previsioni, ce la siamo cavata. I paventati razionamenti di energia non ci sono stati. Una mano ce l’ha data anche il clima più mite. Ma il 2023 probabilmente, per le forniture di energia, sarà più complicato. «Sarà un anno molto duro», prevede Franco Bernabè, che di energia è sicuramente un esperto (ha guidato l’Eni per sei anni). Attualmente è presidente di Acciaierie d’Italia, l’ex Ilva, che sta combattendo con problemi di liquidità anche a causa dei rincari delle bollette energetiche che hanno drenato risorse.

Bernabè, che cosa dobbiamo attenderci nel 2023? In fin dei conti, nonostante i numerosi alert, il 2022 possiamo dire di averlo superato bene.

«In effetti quest’anno ce la siamo cavata anche se sono venuti a mancare in Europa 80 miliardi di metri cubi di gas sui 170 che la Russia forniva fino all’altro anno. Non dimentichiamo che durante la prima metà dell’anno Mosca ha continuato a rifornire l’Ue a ritmi normali. Come abbiamo compensato il resto? Per circa metà, quindi 40 miliardi, con l’aumento dell’import di Gnl e con il gas algerino e dalla Norvegia. Altri 20 miliardi sono stati compensati dall’aumento della temperatura, dal clima più mite sia a ottobre che a novembre: diciamo che il riscaldamento globale questa volta ci ha dato una mano».

Al conto di 80 mancano ancora 20 miliardi di metri cubi.

«Li abbiamo risparmiati come consumi energetici, molto da parte delle imprese. Non è stato facile, soprattutto quando sono state sabotate le linee del Nordstream. A ogni modo c’è da dire che in Europa, nonostante le sanzioni, in questo momento continua ad arrivare del gas russo, paradossalmente dall’Ucraina. Ma nel 2023 verranno a mancare 120 miliardi di metri cubi di gas, 40 in più rispetto a quest’anno».

Non riusciremo a risolvere come fatto finora? Tra l’altro in Italia dovrebbero entrare in funzione i nuovi rigassificatori.

«L’anno scorso abbiamo usufruito del fatto che la Cina ha ridotto le importazioni di gas perché la sua economia ha rallentato. La Cina continua ad essere messa male, possiamo sperare che questa situazioni continui? Io credo di sì, ma solo in parte. La Cina ad un certo punto si riprenderà e avrà bisogno di più gas per sostenere l’economia».

Ovviamente non potrà rivolgersi alla Russia, non subito quantomeno, visto che per costruire i gasdotti di collegamento ci vorranno decenni. Giusto?

«È così. In ogni caso oltre al fattore di incertezza Cina, ne abbiamo anche un altro».

Quale?

«Il clima. Se i prossimi mesi fossero più freddi del normale, o anche se fossero in linea con gli anni passati, la richiesta di gas aumenterà. E non sapremo dove andarlo a prendere, a meno di sacrifici molto più grandi rispetto al 2022. Per compensare i 120 miliardi che ci mancano servirà uno sforzo gigantesco. Temo che i prezzi continueranno ad essere molto in tensione e che addirittura ci possa essere la necessità di razionare i consumi. Il 2023 si presenta molto più complicato rispetto al 2022 dal punto di vista energetico».

Con effetti immediati sul Pil: nel caso di stop totale del gas russo Bankitalia prevede un calo del Pil dell’1% sia nel 2023 che nel 2024.

«Purtroppo è uno scenario probabile. Sono però molto positivo per il 2024 e il 2025. Penso che a partire dalla seconda metà del 2024 i prezzi dell’energia inizieranno a scendere e poi crolleranno nel biennio successivo. Più che una previsione è un dato di fatto: avremo, ad esempio, 300 milioni di tonnellate di Gnl in più messe a disposizione del mercato globale a partire dal 2024 fino al 2027. Si tratta di un aumento della capacità di Gnl formidabile, che non ha precedenti. Contemporaneamente ci sarà un forte aumento delle infrastrutture di trasporto del gas per metanodotto.

Infine c’è anche il fattore Russia: i russi non sapranno a chi vendere il gas, non dico che lo regaleranno, ma dovranno abbassare i prezzi e di molto. Dobbiamo stringere i denti nel ‘23 e prepararci con tutte le carte a posto per una discreta ripresa nella seconda metà del 2024».

Riusciremo ad arrivare al 2024 senza affondare prima?

«L’economia italiana ha dimostrato, in un contesto di gestione saggia come è stata quella di Draghi e come sembra essere anche l’inizio della gestione Meloni, di essere molto più resiliente di altre economie continentali. È cresciuta di più e in modo molto più ampio». Infatti abbiamo avuto sette trimestri continuativi di crescita, unici in Europa. «E di crescita anche molto forte».

Tra l’altro sconfessando le Cassandre. Come ci siamo riusciti?

«Hanno contribuito vari fattori. A cominciare dal fatto che il nostro sistema industriale è a filiera corta, ha avuto meno difficoltà di supply chain (catena di approvvigionamento, ndr) rispetto a tanti altri sistemi industriali, come quello tedesco che ha sofferto molto».

Non possiamo sperare che anche nel 2023 riusciremo a tirare fuori qualche arma segreta?

«Non credo ci siano armi segrete. Noi però abbiamo un grande vantaggio che dobbiamo sfruttare: gli investimenti del Pnrr. Abbiamo da spendere nel 2023 un mare di soldi. Dobbiamo accelerare, può essere un enorme volano».

Il governo Meloni si sta muovendo bene in questo campo?

«È una priorità assoluta».

In un contesto già depressivo per l’economia, secondo alcuni la politica monetaria restrittiva della Bce per contrastare l’inflazione potrebbe essere un danno. Anche perché la nostra inflazione, a differenza di quella americana, non dipende da un’economia che sta andando a pieno ritmo, ma dal caro-energia. Qual è la sua opinione?

«Credo che le scelte della Bce sui tassi siano inevitabili. Soltanto rallentando il passo si potrà risparmiare sul consumo dell’energia. Lo abbiamo appena detto: compensare ciò che manca nel 2023 sarà impossibile: 20 miliardi di metri cubi di risparmio non sono sufficienti. L’alternativa è il razionamento».

Passiamo al mercato dell’acciaio: dopo un biennio particolarmente buono, si teme anche per la siderurgia un rallentamento globale. In Italia la domanda arriva soprattutto dal settore delle costruzioni e dall’automotive, due comparti che non presentano buone prospettive nel 2023. Le costruzioni, ad esempio, è altamente probabile che rallenteranno con la stretta sul superbonus.

«Se parte il Pnrr ci sarà anche una forte domanda di acciaio per le infrastrutture. Forse non sarà brillante come nel 2021 e nel 2022, ma penso che i livelli di investimenti legati al Pnrr potranno consentire anche di mantenere elevata la domanda di acciaio. E poi c’è un altro tema: noi continuiamo a importare acciaio, anche dalla Russia. Il sistema Italia addirittura viene accusato di comprare l’acciaio che i russi hanno rubato all’Ucraina. Dobbiamo fermare questa situazione».

Lei presiede Acciaierie d’Italia, l’ex Ilva, in questo momento nella tempesta tra mancanza di liquidità e indecisioni sulla governance. Quale potrebbe essere la soluzione per il rilancio?

«L’ex Ilva è impegnata in un progetto di riconversione e ricostruzione di enorme complessità economica, finanziaria e industriale. Le acciaierie devono poter procedere sul progetto di investimento alla base dell’accordo con ArcelorMittal. La riconversione verso l’acciaio green è già stata avviata. Il piano non solo c’è, ma è già in corso di realizzazione. Il fatto è che va finanziato perché AdI non ha accesso al credito. Servono soldi per investire e gli azionisti devono essere concordi nell’indicare la strada che può sostenere la società in questo sforzo».

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