Calcio, Europei e diritti tv per salvare l'Italia del pallone con oltre 5 miliardi di debiti

Calcio, Europei e diritti tv per salvare l'Italia del pallone con oltre 5 miliardi di debiti
di Michele Di Branco
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Venerdì 23 Dicembre 2022, 09:29

Per l’Italia del pallone che, estromessa dalla non irresistibile Macedonia del Nord nelle fasi di qualificazione per il Qatar, ha appena assistito dal divano al secondo Mondiale consecutivo, zavorrata da 1 miliardo di perdite e oltre 5 miliardi di debiti e con il fiato sul collo del fisco che reclama 600 milioni di tasse non pagate, l’Europa è l’ultima ciambella di salvataggio alla quale aggrapparsi. La vittoria degli azzurri a Londra nel luglio del 2021, con la conquista di un trofeo che mancava dal 1968, ha avuto un impatto economico diretto per la Federcalcio di 36 milioni di euro e un impatto economico indiretto e indotto per il sistema Paese stimabile in almeno lo 0,7% del Pil (circa 12 miliardi di euro). Numeri che spingono ad uno scatto d’orgoglio. Tanto che il presidente della Figc, Gabriele Gravina, ha annunciato la presentazione della candidatura per l’Europeo del 2032. Il dossier sarà pronto per fine marzo, la decisione della Uefa entro la fine del 2023: ci sarà da superare la concorrenza della Turchia. Se l’operazione andasse in porto, la quinta industria del Paese avrebbe un’occasione unica per ammodernare infrastrutture che ormai non tengono il passo con il resto del Continente. Dove quasi tutti i club, tra l’altro, sono proprietari degli stadi in cui si esibiscono. Con la possibilità di aumentare fatturato e ricavi.

IL CARDINE

 Nonostante i problemi, il calcio italiano resta infatti un elemento centrale per il Paese, sia dal punto di vista sociale che economico. Un movimento che rappresenta il principale sistema sportivo italiano, con 4,6 milioni di praticanti e 1,4 milioni di tesserati (il 20% dei ragazzi italiani tra i 5 e i 16 anni). Il fatturato diretto è di 5 miliardi di euro (12% del Pil del football-business mondiale) e negli ultimi 14 anni il contributo fiscale e previdenziale del mondo del calcio è stato pari a 15,5 miliardi di euro. In pratica, per ogni euro investito dal governo nel calcio, il sistema Paese ha ottenuto un ritorno in termini fiscali e previdenziali pari a 18,3 euro. Certo, c’è il problema del Fisco ma la Commissione Bilancio della Camera ha approvato la norma salva-sport: in particolare si consente a federazioni sportive nazionali, enti di promozione sportiva, associazioni, società professionistiche e dilettantistiche di pagare quanto dovuto in 60 rate con la maggiorazione del 3 per cento. Si tratta complessivamente di 889 milioni di euro di cui la maggior parte è quella relativa alle società di calcio. Il problema di fondo è però che il sistema professionistico non sa vendere il prodotto calcio. Un esempio chiarissimo, da questo punto di vista, è quello dei diritti tv. Il massimo campionato italiano raccoglie 1,1 miliardi di euro tra diritti interni ed esterni. E la crescita vissuta nel decennio pre-pandemico sfiora i 400 milioni di euro complessivi. Sembrerebbero buoni numeri ma non lo sono affatto, se confrontati con quelli dei principali tornei europei. Nel 1992 la serie A era la Lega televisivamente più forte del mondo, ancora dieci anni fa era la seconda d’Europa.

Adesso è la quarta, incalzata persino dal surreale campionato francese, dove in pratica si gioca solo per il secondo posto, alle spalle del Psg degli sceicchi. Il massimo campionato inglese, nettamente il più appetito del pianeta, incassa 4,1 miliardi dai diritti tv, facendo nettamente corsa di testa. Il dato curioso? Il mercato estero ne gonfia le tasche per 2,1 miliardi, superando il valore del mercato interno (2 miliardi). Il secondo posto che un tempo era stabilmente occupato dalla Serie A, è oggi saldamente in mano alla Liga spagnola (poco più di 2 miliardi). La Bundesliga si inserisce all’inseguimento, con quasi 1,5 miliardi incassati. Il campionato tedesco è molto forte in casa (1,1 miliardi), mentre quello spagnolo si vende benissimo all’estero (897 milioni), così come quello inglese. E il nostro? All’estero vende per 200 milioni: come a dire che fuori dalla penisola della nostra serie A non importa proprio niente a nessuno.

LO SNODO

 Cosa fare per invertire la rotta? Il governo ragiona sull’opportunità di modificare la legge Melandri che dispone la vendita dei diritti tv (nel 2024 scade l’attuale licenza) ogni tre anni. Si passerebbe a 5 anni permettendo così ai broadcaster di programmare meglio gli investimenti tecnologici offrendo più soldi. Ma serve molto altro. A cominciare da una gestione migliore dei club. La pandemia ha peggiorato lo stato di salute della Serie A che tra il 2019 e il 2021 ha subito perdite da a 1,7 miliardi e si trova a dover fronteggiare un indebitamento che supera i 5 miliardi. Le ricapitalizzazioni per 2,3 miliardi hanno offerto ossigeno ma il nodo di fondo è che senza un aumento dei ricavi, al quale affiancare un drastico taglio del costo del lavoro (aumentato del 25 per cento negli ultimi 5 anni) la barca non può sopportare a lungo la navigazione. E sullo sfondo resta una domanda. Può il calcio italiano, che ormai non vince una Champions League dal lontano 2007, continuare a competere con i fondi finanziari globalizzati sedendosi al tavolo di poker con giocatori dotati di portafoglio illimitato? Nella Serie A 2022/23 le proprietà straniere sono già sette su 20 (Inter, Milan, Roma, Bologna, Fiorentina, Atalanta e Spezia). Ma presto potrebbero passare di mano Sampdoria (in grave crisi), Udinese e Verona. Per non parlare del ventilato, clamoroso, anche se al momento smentito trading del club (la Juventus) che da 100 anni (record mondiale) appartiene alla stessa famiglia, gli Agnelli.

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