Romano Prodi: «Avanti tutta con industria e commercio, ma occhio alle impennate dell'inflazione»

Romano Prodi
di Romano Prodi
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Venerdì 24 Dicembre 2021, 10:00 - Ultimo aggiornamento: 30 Dicembre, 09:12

Non avrei mai pensato che un virus divenisse l’elemento determinante per potere portare avanti previsioni economiche plausibili.

Tuttavia quest’anno le cose stanno così. Non solo perché gli effetti della pandemia si fanno sentire in modo sempre più inatteso, ma soprattutto perché ci troviamo di fronte a una sua evoluzione del tutto sorprendente per intensità, estensione e durata. Naturalmente il tutto fa anche comodo agli economisti che, in caso di errore, possono sempre dare la colpa all’andamento della pandemia. Covid permettendo, cercherò quindi di riflettere su quanto potrà avvenire nel corso del prossimo anno. Stando all’analisi dei dati disponibili, la mia prima azzardata affermazione è che l’allarme diffuso in tutto il mondo per effetto dell’Omicron, dovrebbe portare solo modeste correzioni al ribasso nei confronti del tasso di crescita. Stati Uniti, Cina ed Europa, pur con una leggera diminuzione rispetto alle previsioni degli scorsi mesi, dovrebbero raggiungere uno sviluppo simile (intorno al 4%), ritornando ai livelli precedenti la pandemia in tempi molto più rapidi di quanto è avvenuto nelle precedenti crisi. Questo perché, anche se con modalità differenti, le politiche governative hanno iniettato nei sistemi economici quantità di denaro senza precedenti, attenuando con questo il crollo della domanda. In secondo luogo i vari Paesi, pur con l’eccezione di settori di importanza fondamentale come il turismo, i trasporti aerei e la ristorazione, hanno in qualche modo imparato a gestire la crisi, adottando regole sanitarie maggiormente collaudate, aumentando il lavoro a distanza e innovando i modelli organizzativi.

La buona crescita sarà quindi guidata dall’industria e da un commercio internazionale che, almeno fino ad ora, continua tranquillamente a marciare bene, nonostante l’inasprimento delle tensioni politiche non solo fra Stati Uniti e Cina, ma un po’ dovunque nel mondo. Il settore manifatturiero potrebbe evidentemente crescere in misura maggiore se non permanessero ancora strozzature nell’offerta di materie prime, di semilavorati e, soprattutto, dei semiconduttori che, per ancora parecchi mesi, non saranno in grado di fare fronte alle richieste da parte della nuova economia. Un freno alla crescita emerge dal fatto che la durata della pandemia spinge i consumatori di tutto il mondo a mantenere prudenzialmente elevati i risparmi e a rinviare, quindi, le spese ad un tempo in cui i rischi sanitari saranno definitivamente cancellati. Anche i messaggi che emergono dall’analisi del comportamento del nostro Paese si presentano simili a quelli descritti in precedenza, con una velocità di ripresa superiore alla media, come era peraltro stata superiore alla media la caduta della nostra economia durante tutto il periodo del Covid. Resta inoltre da sottolineare che le nostre esportazioni stanno crescendo (e si prevede continueranno a crescere) ad un ritmo più che soddisfacente. 

A rendere assai incerto il quadro prospettato non contribuisce tuttavia solo l’imprevedibilità del virus. Il rischio che abbiamo più volte sottolineato, e che costituisce motivo generale di preoccupazione, si chiama “inflazione”. Fino a poche settimane fa era dominante l’opinione che fosse in ogni caso temporanea. Ora, invece, le banche centrali hanno cominciato ad adottare politiche restrittive, annunciando la progressiva diminuzione dell’acquisto di titoli. Da parte della Riserva Federale Americana questa politica è stata accompagnata da un programma di aumento dei tassi che, in tre successive tappe, dovrebbero arrivare attorno all’1,5% entro la fine del prossimo anno. Non si tratta certo di un cambiamento radicale, ma siamo tuttavia in presenza di un’inversione di tendenza di una politica che si riteneva dovesse ancora durare a lungo. In Europa si ipotizza un’inflazione intorno al 3%, quindi assai minore rispetto a quella americana. Nel nostro Paese si fanno previsioni di un tasso di inflazione ancora leggermente inferiore. Le misure restrittive e gli aumenti dei tassi avverranno in Europa con tempi più lunghi e aspetti quantitativi minori rispetto agli Stati Uniti. Non possiamo tuttavia sottovalutare il fatto che la manovra di bilancio italiana ha contenuti espansivi e che gli aumenti dei prezzi non hanno ancora provocato le lievitazioni salariali che, di solito, seguono questi aumenti. La preoccupazione degli osservatori internazionali, nei confronti dell’Italia, si concentra proprio sul dubbio che il nostro Paese sia in grado di accompagnare questa politica espansiva con le riforme necessarie per diminuire la nostra distanza di produttività nei confronti di Francia, Germania e dei nostri maggiori concorrenti. Un traguardo ritenuto raggiungibile solo se l’Italia riuscirà ad avere un sufficiente grado di stabilità di fronte a due eventi di cruciale importanza: l’imminente nomina del Presidente della Repubblica e le future elezioni politiche nazionali.

Su questi due avvenimenti né gli economisti né gli specialisti di alcun’altra materia sono tuttavia in grado di fare previsioni attendibili. Vi è infine un ultimo elemento che bisogna tenere presente per fornire una presentazione realistica dell’evoluzione della nostra economia nel prossimo anno. Si tratta della disponibilità e del costo dell’energia. Gli specialisti in previsioni tendono prevalentemente a ritenere i recenti rincari del settore energetico come temporanei, e quindi non troppo preoccupanti.

Di fatto, in Europa, disponibilità e prezzi non sono assolutamente sotto controllo. Nessuna concreta iniziativa viene messa in atto e ci si limita ad auspicare l’adozione di una politica energetica comune. Nel frattempo ogni Paese agisce per conto proprio e i fornitori sanno benissimo che le nostre scorte sono molto, molto basse. In Italia, in particolare, il problema energetico sta assumendo un’importanza tale da mettere a rischio le buone previsioni che ho presentato all’inizio di queste riflessioni. Un numero crescente di imprese non regge più l’aumento dei costi e molte famiglie saranno difficilmente in grado di fare fronte all’aumento delle tariffe, nonostante tutti gli interventi governativi. Al prezzo che paghiamo per le crescenti tensioni internazionali, nel nostro Paese si aggiungono i danni di una folle politica che impedisce l’aumento dell’estrazione del gas naturale dai pozzi già in funzione, perfino in giacimenti dai quali gli altri Paesi confinanti estraggono gas senza alcuna limitazione.

Nessuna nuova trivellazione sarebbe necessaria, nessun investimento di alcun tipo, ma solo l’aumento delle estrazioni dai pozzi esistenti come primo passo per ricostruire le scorte che sono assolutamente necessarie per i consumi di un inverno che si comporti come tale. Tutti sappiamo che il gas, avendo escluso il nucleare, rimane lo strumento indispensabile per la transizione energetica, tutti sappiamo che questa transizione non è di breve durata, tutti sappiamo che non possiamo reggere alle notevoli differenze di costo dell’energia rispetto agli altri paesi europei e alle immense differenze (di almeno sei volte) nei confronti del costo del gas americano. Nonostante questo andiamo avanti nella speranza che l’aumento dei costi dell’energia sia solo temporaneo. Me lo auguro anch’io, come mi auguro di non prendere il Covid ma, insieme all’augurio, cerco di mettere in atto tutte le precauzioni necessarie per evitarlo.

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