Nuovo patto di stabilità sull'asse Roma-Parigi. Apertura di credito a Draghi

Ursula von der Leyen
di Gabriele Rosana
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Venerdì 24 Dicembre 2021, 10:00 - Ultimo aggiornamento: 30 Dicembre, 09:14

Tra attuazione delle misure previste nel Pnrr e revisione del Patto di stabilità, l’Italia inizia il 2022 da protagonista dell’agenda europea.

Con un nuovo governo in Germania per la prima volta in formato tripartito, dopo i 16 anni di Angela Merkel alla cancelleria, ed Emmanuel Macron che in Francia dovrà misurarsi con una difficile sfida a destra per rimanere all’Eliseo, per Roma si aprono ampi spazi di manovra ancora fino a poco tempo fa impensabili nel duopolio franco-tedesco che regge le sorti dell’Ue. Pure a Bruxelles, del resto, il premier Mario Draghi è visto come il leader naturale dell’Unione. Il giornale online Politico Europe, la “bibbia” della bolla che orbita nell’ecosistema Ue, ha eletto il banchiere centrale diventato premier come personaggio più influente dell’anno nella sua periodica classifica pubblicata a metà dicembre. E questo al netto delle incognite dello slalom del Quirinale, che anche nella capitale dell’Unione europea è seguito da vicino e con qualche timida preoccupazione per un cambio in corsa a Palazzo Chigi proprio nei mesi decisivi per la messa a terra dei primi grandi progetti del Pnrr.

IL DEBITO COMUNE

L’Italia di Draghi potrà sfruttare la congiuntura e dare le carte, ma dovrà dimostrare ai partner europei di meritare l’ampia apertura di credito nei suoi confronti: un dato che inevitabilmente influenzerà anche la volontà di rendere permanenti nel quadro europeo alcune tra le caratteristiche principali del Recovery Plan, come la possibilità di continuare anche in futuro a contrarre grandi volumi di debito comune. Nelle prossime settimane l’Italia riceverà la prima vera tranche del suo Pnrr approvato la scorsa estate: i 24,9 miliardi di euro incassati ad agosto altro non sono che una rata di prefinanziamento pari al 13% del totale. Il lavoro duro comincia adesso, con le serrate tappe previste dal cronoprogramma del Recovery Plan per soddisfare gli obiettivi concordati con Bruxelles e sbloccare i pagamenti con cadenza semestrale.

REGOLE INEFFICACI

L’anno europeo che sta per aprirsi, per il nostro Paese sarà dominato dai negoziati sulla revisione della governance economica dell’Unione e, in particolare, del Patto di Stabilità, la disciplina che si è data l’Europa sui conti pubblici congelata a inizio pandemia – l’emergenza ha fatto balzare il debito pubblico della zona euro oltre il 100% – e che tornerà ad applicarsi a partire dal 1° gennaio 2023. L’obiettivo di Bruxelles è che già nei prossimi mesi si possa raggiungere un accordo di massima sulla revisione. «Le regole del Patto di Stabilità si sono dimostrate inefficaci e dannose. Lo sforzo di riflessione a cui si appresta l’Ue sarà profondo e complesso», ha ricordato Draghi alla vigilia dello scorso Consiglio europeo. Non sarà una partita facile, ma una da affrontare fino in fondo per riuscire a conciliare investimenti e crescita con la disciplina di bilancio, considerato il cronico livello di indebitamento del Paese, ribadito ancora di recente dalla Commissione nel giudizio sulla manovra finanziaria: l’Italia deve limitare la spesa corrente, che nel 2022 è destinata a crescere dell’1,5% del Pil. L’allineamento degli astri politici in apertura del nuovo anno sembra però favorevole: al timone del Consiglio Ue nel primo semestre dell’anno arriva la Francia. Una singolare ma non inedita combinazione del calendario fa sì che Macron sarà al contempo visibilissimo presidente di turno dell’Unione e candidato a un secondo mandato alla guida del suo Paese. Insomma, avrà bisogno di sponde importanti per vincere sui due fronti.

LA CONVERSIONE TEDESCA

Con l’Italia, la Francia condivide la posizione sulla revisione del Patto attraverso una “golden rule” per lo scomputo degli investimenti verdi e digitali dal calcolo del debito e un “Fiscal Compact” più soft per ammorbidire i tempi di rientro dal debito. L’addio al rigore è uno dei punti principali dell’intesa Roma-Parigi, dopo la firma del Trattato del Quirinale a fine novembre, e Macron ha già annunciato che a marzo ospiterà a Parigi un summit per discutere di un nuovo modello di crescita europeo per «creare posti di lavoro». Sarà uno snodo fondamentale per calibrare le chance di un cambio di passo, soprattutto in un momento in cui anche i falchi di stretto rito sembrano vacillare e si dicono pronti a un’apertura di credito. Draghi e Macron continueranno il pressing su Olaf Scholz, ma il neocancelliere tedesco non sembra per ora abbandonare il mantra di quando era ministro delle Finanze, ripetuto di recente anche durante la visita a Roma: il Patto garantisce sufficiente flessibilità, e lo ha dimostrato pure durante la pandemia. A Berlino, comunque, qualcosa si muove: lo stesso accordo di coalizione tra socialdemocratici, verdi e liberali vuole «garantire la crescita, la sostenibilità del debito e investimenti sostenibili ed ecologici», mentre il rigorista Christian Lindner, nuovo responsabile delle Finanze, si dice convinto che la Germania non possa opporsi alle riforme come i frugali, ma debba semmai facilitare il dialogo. Il nuovo clima nel continente ha già prodotto qualche smottamento: persino gli austeri Paesi Bassi del falco Mark Rutte, riconfermato nei giorni scorsi per un quarto mandato, ora incrementano la spesa pubblica e dicono che non ostacoleranno la discussione sul futuro del Patto.

IN CERCA DI AUTONOMIA

L’Europa del 2022 affronterà pure il dossier sovranità tecnologica, una delle principali declinazioni, cara a Macron, dell’autonomia strategica dell’Unione in un mondo sempre più multipolare e in cui il Vecchio Continente deve imparare a fare da sé di fronte a partner tradizionali, come gli Stati Uniti, concentrati su altre aree di influenza strategica (cioè il Pacifico) e Cina e Russia confermate nel ruolo di “rivali sistemici”. Governi ed Europarlamento sono attesi dall’avvio dei negoziati su Dsa e Dma, il nuovo pacchetto digitale per normare le piattaforme online, dalla gestione dei contenuti alla concorrenza sul mercato. Ma l’autonomia Ue ha anche un’importante componente industriale: passa dalla capacità Ue di raddoppiare (dal 10 al 20%) la sua quota globale di produzione di microchip in un momento in cui, a causa delle strozzature nelle catene globali del valore, mancano i semiconduttori essenziali per la produzione di auto, smartphone ed equipaggiamenti per la difesa. Bruxelles presenterà lo European Chips Act entro giugno: l’obiettivo dichiarato è di attirare capitali extra-Ue per creare in Europa uno o più impianti produttivi. La Germania si dà un gran daffare, ma anche l’Italia è interessata a diventare hub del Vecchio Continente dei chip. Sempre che riesca a infilarsi nelle grandi combinazioni.

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