Conti pubblici, debito comune e fisco europeo: il passo è breve

Conti pubblici, debito comune e fisco europeo: il passo è breve
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Mercoledì 16 Settembre 2020, 09:31 - Ultimo aggiornamento: 30 Settembre, 16:47
Un’Europa fuori dalla tempesta del Covid e capace di uno sviluppo più equilibrato al suo interno: questo è l’obiettivo dello sforzo messo in campo con il Next Generation Eu. Ma il piano da 750 miliardi faticosamente deciso dai leader europei lo scorso luglio potrebbe lasciare in eredità al Vecchio Continente un altro importante risultato politico, prima ancora che economico: l’avvio di una vera fiscalità comune, a sua volta possibile nucleo di una politica economica dell’Unione, a fianco di quella monetaria gestita dalla Bce.

Nuove risorse

Si tratta di un obiettivo non nuovo, che finora però le istituzioni europee non sono riuscite a concretizzare. Ma stavolta c’è un elemento in più, che non si può eludere: la necessità di ripagare il debito che i Ventisette hanno deciso di emettere insieme, per raccogliere i fondi necessari all’ambizioso programma. Il Next Generation Eu è ancorato al bilancio europeo; vuol dire che dovrà essere l’Unione in quanto tale a pagare gli interessi e a restituire il capitale, fermo restando che 360 miliardi su 750 sono erogati agli Stati sotto forma di prestito. In che modo avverrà la restituzione? Attualmente affluiscono alla Ue i proventi dei dazi doganali sulle importazioni, una percentuale dell’Iva applicata nei vari Paesi e i contributi calcolati sul Pil (o meglio sul reddito nazionale lordo) di ogni Stato membro. L’intesa del 21 luglio prevede esplicitamente di «introdurre nuove risorse proprie», e detta anche un calendario di massima. Già dal prossimo gennaio, come primo passo, dovrebbe debuttare un tributo europeo sulla plastica non riciclata. Poi entro il giugno del prossimo anno toccherà alla commissione presentare proposte in tema di tassa digitale (nel mirino ci sono soprattutto i colossi del web) e di carbon tax: in quest’ultimo caso l’obiettivo è contrastare il fenomeno del carbon leakage, ovvero il trasferimento della produzione in Paesi in cui i controlli delle emissioni sono meno rigidi, per cui il prelievo si applicherebbe sulle importazioni. Per queste due novità la possibile data di partenza è il primo gennaio 2023. In una prospettiva ancora più lontana verranno studiate altre imposte comuni tra cui eventualmente una sulle transazioni finanziarie. I proventi della nuova fiscalità europea già a partire dal 2021 dovrebbero essere utilizzati per il rimborso anticipato del capitale preso in prestito sui mercati per l’operazione Next Generation Eu: questo debito andrà azzerato al più tardi entro il 2058 ma i progressi nell’implementazione di tributi continentali darebbero la misura della capacità europea di gestire in modo efficace e condiviso le proprie passività. Incentivando quindi ulteriore forme di ricorso all’indebitamento comune anche in situazioni non necessariamente di emergenza.





Al di là degli aspetti tecnici, che pure presentano complessità non indifferenti, è chiaro che questo progetto appare ambizioso soprattutto sotto il profilo politico. Il bilancio europeo è oggi alimentato in larga parte dai contributi degli Stati membri e questo condiziona i margini di azione delle istituzioni. Basta pensare a temi come la sicurezza comune o in concreto, per restare all’attualità degli ultimi anni, la gestione delle crisi migratorie. Disponendo di entrate stabili non strettamente legate alle scelte dei singoli Stati, l’Unione potrebbe muoversi con meno impaccio, rafforzando in prospettiva la propria dimensione federale. Il passaggio ad imposte sovranazionali (anche se sostanzialmente riscosse nei singoli Stati, almeno inizialmente) porta poi con sé anche l’idea di un ministro dell’Economia con effettivi poteri di coordinamento delle politiche nazionali. Sono tutti obiettivi ventilati a più riprese in tempi recenti ma apparsi poco realistici, in una fase in cui l’idea europea perdeva almeno una parte della sua popolarità presso le varie opinioni pubbliche. Ora proprio il coronavirus può contribuire a cambiare le cose: nel processo politico che ha portato all’accordo dello scorso luglio la commissione (coadiuvata dalla presidenza tedesca) ha avuto un ruolo propulsivo efficace. E gli stessi cittadini del Vecchio Continente, nel vedere un’Europa che unisce le forze per rispondere ad una potenziale catastrofe sanitaria ed economica, sarebbero probabilmente portati ad accantonare un po’ della propria diffidenza. 

Multinazionali

D’altra parte, come aveva avuto modo di ricordare Mario Draghi un anno e mezzo fa in occasione del conferimento della laurea honoris causa dall’Università di Bologna, i sistemi fiscali nazionali fanno sempre più fatica a interfacciarsi con contribuenti - le grandi multinazionali digitali e non - che si muovono spesso con potenza e mezzi superiori a quelle di uno Stato: l’alternativa al coordinamento in questa materia è la competizione al ribasso tra i Paesi, che porta inevitabilmente alla perdita di base imponibile e quindi di risorse da destinare ai servizi pubblici e al welfare. COMPETENZE Chiaramente, l’avvento di tasse europee pone un delicato problema di definizione e delimitazione delle competenze, per evitare il rischio di una semplice moltiplicazione dei soggetti impositori. Il contribuente europeo è oggi spesso tassato a livello locale, regionale e nazionale e non desidera certo che si aggiunga anche il fronte europeo, in assenza di un sostanziale passo indietro dei singoli Stati. Da questo punto di vista la scelta delle materie indicate nelle conclusioni del Consiglio europeo appare abbastanza ragionevole: si tratta di temi, da quello ambientale a quello digitale, per i quali la necessità di una dimensione continentale era già stata sottolineata ben prima dell’entrata in scena del Covid 19.
 
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