L'Italia tenta di introdurre la web tax dal 2013 ma sembra che anche il tentativo giallo-verde, per il momento, sia fallito. Il decreto attuativo, di concerto tra ministero dell'Economia e dello Sviluppo economico, sentiti anche Garante per la privacy e Agcom andava emanato entro fine aprile per fissare i servizi effettivamente assoggettati alla nuova imposta ma a rallentarlo è subentrato anche il mancato accordo Ue sulla tassazione dei giganti del web a causa dell'opposizione di Irlanda, Svezia, Danimarca e Finlandia. A livello europeo la questione è stata rinviata in in sede Ocse che, per giungere a una proposta condivisa e fare pagare le tasse ai colossi del web là dove generano fatturati e utile, si è data come deadline il 2020.
In Italia, in seguito alle modifiche introdotte lo scorso autunno, la norma sulle transazioni digitali prevede, sulla falsariga della web tax francese e spagnola, un'aliquota del 3% per le aziende con oltre 750 milioni di ricavi di cui almeno 5,5 milioni da servizi digitali sul territorio nazionale, dalla pubblicità mirata online alla fornitura di beni e servizi venduti su piattaforme web, fino alla trasmissione di dati raccolti sempre attraverso interfaccia digitali.
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