Putin non vuole parlare con Zelensky. Ma il presidente ucraino, dal suo bunker a Kiev, mentre definisce «un bluff» le minacce nucleari di Mosca e avverte che è serio il pericolo russo per Polonia e Paesi baltici, ripete d’essere pronto «a compromessi ma senza tradire il mio popolo», e che «possiamo mettere fine a questa guerra solo dopo colloqui diretti tra me e Putin». Il dialogo impossibile resta una chimera. Intanto, però, di positivo c’è che sul terreno, nel quattordicesimo giorno di invasione russa, a metà giornata di ieri almeno 18mila civili erano riusciti a filtrare illesi attraverso i corridoi umanitari protetti, come concordato dalle delegazioni russa e ucraina nelle foreste della Bielorussia.
FUGA
Colonne umane, per lo più donne, bambini e anziani, si spostano, cercando scampo dalle città che si trovano lungo le direttrici dell’offensiva di Mosca, sulla costa del Mar Nero a Mariupol, più a Nord vicino alla centrale nucleare che per una notte ha tenuto il mondo col fiato sospeso, su su fino ai sobborghi di Kiev, la capitale.
Quali potranno essere i margini di successo dell’iniziativa turca? «Le trattative con i russi hanno sempre il limite della catastrofe umanitaria di questa guerra», dice il sindaco di Kiev, Vitali Klitschko. L’Ucraina tratta con la pistola puntata alla tempia. I media israeliani rilanciano l’idea che al di là delle parole, una base negoziale sia stata già messa a punto da russi e ucraini, un po’ grazie al viaggio a Mosca del premier israeliano Bennett sabato scorso. Putin chiederebbe il riconoscimento della Crimea russa e l’indipendenza delle Repubbliche separatiste del Donbass. Più una garanzia costituzionale della neutralità dell’Ucraina e della sua non adesione alla Nato. Potrebbe essere un diritto di veto da parte di ogni singola provincia, comprese quelle amministrate da russofili. Putin rinuncerebbe in questo caso a pretendere il cambio di governo a Kiev.
Ucraina, la Cina punta il dito contro Usa e Nato: «Ignorano le proprie responsabilità»
ASPETTATIVE
Cozza con questo scenario l’altolà del ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, il quale dice di avere “aspettative limitate” dai colloqui di Antalya e che sì, sarà presente, «in buona fede e non con intenti propagandistici». Ma mette in chiaro di puntare al cessate il fuoco, alla liberazione dei territori e alla risoluzione di tutte le questioni umanitarie. Ihor Zhovka, consigliere di Zelensky, insiste che si può discutere sulla «neutralità», ma Kiev «non cederà un solo centimetro di territorio». Da posizioni opposte il portavoce di Putin, Peshkov, parla delle Repubbliche di Donetsk e Lugansk “Stati sovrani e indipendenti”. E ieri ha alzato la voce pure la Cina, schierandosi al fianco della Russia. I portavoce del ministero degli Esteri si sono scagliati contro le sanzioni occidentali che «non portano pace né sicurezza, ma difficoltà economiche e privazioni». E, soprattutto, contro la Nato, «guidata dagli Usa, le cui azioni hanno gradualmente spinto fino al conflitto Russia-Ucraina». Colpa di Washington, insomma.