Popolare di Bari, allarme di Bankitalia nel 2013: «Troppa disinvoltura nel dare prestiti»

Popolare di Bari, allarme di Bankitalia nel 2013: «Troppa disinvoltura nel dare prestiti»
di Rosario Dimito
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Lunedì 16 Dicembre 2019, 17:06 - Ultimo aggiornamento: 21:50

MILANO Prestiti e affari. Un giro vorticoso di manovre anomale ha caratterizzato l'attività della Popolare di Bari sin dal 2013. C'è un rapporto ispettivo di Bankitalia, a seguito di una indagine iniziata il 9 gennaio di quell'anno e, in tre fasi, protrattasi sino ai primi di settembre. Le ispezioni nelle banche si concludono con un voto che va da 1 (il massimo) a 6 (minimo). Bene, sulla pagella, l'istituto barese che era presieduto da Marco Jacobini e guidato da Vincenzo De Bustis, ottenne 4. Cioè un'insufficienza. «Parzialmente sfavorevole» fu il giudizio finale. Subito dopo la banca acquisì Tercas.

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LA PROCEDURA
Nel mirino degli ispettori finirono i crediti concessi ai gruppi Fusillo e Curci, co-azionisti di Maiora Group. Questo cliente beneficiava di linee di credito e inoltre Via Nazionale rilevò che la pratica abituale dell'erogazione degli impieghi peccava di che nel linguaggio tecnico-burocratico in materia bancaria sta per disinvoltura nella gestione del credito. E dire che De Bustis, due giorni prima di essere esautorato, ha avviato un'azione di responsabilità contro tre ex dirigenti per «una gestione creditizia al di fuori delle regole». Maiora, attiva nelle costruzioni e turismo, nel 2013 aveva totalizzato 134 milioni di debiti con la Bari (oggi ammontano a 211 milioni) e, per la cronaca, nei mesi scorsi è fallita. Fusillo è un gruppo edilizio. Nicola Fusillo nel 2015 è stato tra i supporter di Michele Emiliano, attuale governatore della Puglia.

I Curci, invece, avevano in portafoglio una quota di minoranza de La Gazzetta del Mezzogiorno che, per molti anni, è stata in pegno alla banca guidata da Jacobini e De Bustis, quest'ultimo alla guida dell'istituto in due tempi (2011-2015) e da dicembre 2018 fino a venerdì scorso quando Bankitalia, promuovendo l'amministrazione straordinaria, ha azzerato i vertici sostituendoli con i commissari Michele Ajello e Antonio Blandini.
Ad attirare l'attenzione degli ispettori sei anni fa era l'abitudine «di sottoscrivere quote di fondi comuni che investono in immobili venduti da clienti finanziati dalla banca barese». Era una prassi molto spesso utilizzata dalla gestione per trasformare i crediti in quote del Fondo, ma era un espediente per sottrarre i clienti dal contenzioso e consentiva alla banca di tenere bassi i coefficienti dell'Npe ratio (deteriorati/impieghi). Nel rapporto sono citati alcuni esempi di questa condotta. Nel 2011 Bari aveva sottoscritto le quote del Fondo Tiziano, comparto San Nicola. Tiziano aveva acquistato il Grande Albergo delle Nazioni, uno dei complessi più noti del capoluogo pugliese. A mettere in vendita il Delle Nazioni fu la Fimco, una delle società della galassia Fusillo: la banca quindi ha compiuto una partita di giro, trasformando i crediti in quote del Fondo. Fimco poi ha ceduto al Fondo Donatello un altro immobile di valore (Hotel Oriente) situato nel cuore della città.

Nei bilanci della banca, gli investimenti nei Fondi comuni assorbivano una quota elevata degli rwa, una delle sigle sempre sotto esame dei vigilanti: sono gli attivi ponderati per il rischio e sono il denominatore della frazione (numeratore il capitale versato) che esprime la solidità patrimoniale espressa dall'indice Cet1. Nel 2015 Bankitalia, che da allora fino all'altro giorno ha compiuto 14 interventi sulla Popolare di Bari, gli investimenti in fondi cubavano 131 milioni, causando una perdita rispetto al 2014 di 22 milioni. Va ricordato che Fusillo è un cliente che Bari aveva in comune con la Popolare di Vicenza, la banca saltata in aria con Veneto banca due anni fa: beneficiava di una partita di giro di finanziamenti con scatole domiciliate a Malta. Già, l'isola del Mediterraneo che si incrocia con le ultime vicende dell'istituto.

Nel disperato tentativo di salvarla, De Bustis aveva allestito una complicata e poco chiara operazione. Appena tornato nuovamente a Bari, il banchiere romano, laurea in ingegneria e di simpatie dalemiane, prova ad emettere uno strumento di rafforzamento del capitale (At1) per rastrellare almeno 300 milioni da far sottoscrivere alla società maltese, Muse Ventures Ltd, che era rappresentata dal finanziere italiano residente a Londra, Gianluigi Torzi, coinvolto di recente anche nelle operazioni immobiliari del Vaticano. Muse ha solo 1.200 euro di capitale e non si capisce come avrebbe potuto spendere 300 milioni.
 

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