I Cinquestelle sono contrari da sempre. Di trivelle nell’Adriatico non vogliono sentirne parlare. Per anni hanno cavalcato l’ecologismo dei «No Triv» facendone uno dei loro tratti distintivi. Nell’ultimo Consiglio dei ministri ci sarebbe stata una discussione molto accesa sul tema. Ma questa volta a schierarsi contro la ripresa delle estrazioni di gas nazionale, non sarebbero stati solo i Cinquestelle. Anche Pd e Lega avrebbero frenato. Il Carroccio per questioni territoriali. Il Veneto ha da sempre voluto difendere le proprie prerogative sulle coste e Venezia. Venti anni fa, nel 2002, il governo Berlusconi concesse un diritto di veto alla Regione sulle trivellazioni per non danneggiare costa e turismo. Ora quelle ragioni sono riemerse. E anche il Pd si è messo di traverso. Più per ragioni “tattiche”. Per difendere il campo largo e l’alleanza con Giuseppe Conte. E poi per contenere la competizione a sinistra dei movimenti ecologisti.
Così il dossier trivelle è finito nelle sabbie mobili.
IL CONTRIBUTO
Su questo anche l’Italia può dare un contributo. In che modo? Accrescendo la produzione nazionale in Adriatico che qualche anno fa arrivava a 20 miliardi di metri cubi. Oltre agli Usa anche Norvegia e Gran Bretagna hanno già deciso di andare verso l’incremento della produzione. Ma per aggregarsi a questa coalizione anti-rincari fatta di paesi “volenterosi”, Draghi e Cingolani dovranno superare le resistenze dei partiti. Che in caso di diniego, però, rischierebbero di disarmare il governo di una potente arma per contenere non solo i costi dell’energia per le famiglie e le imprese, ma anche l’inflazione. Una responsabilità enorme, che lascia perplessi per la leggerezza con la quale Pd e Lega si aggregano alle anacronistiche posizioni dei grillini. Ma in che modo sarebbe attuato questo sblocco emergenziale delle estrazioni? Sul tavolo c’è un ordine del giorno sul quale il governo ha già dato parere favorevole. La norma consente la coltivazione - per la durata di vita utile del giacimento - delle concessioni poste nel tratto di mare compreso tra il 45° parallelo e il parallelo passante per la foce del ramo di Goro del fiume Po, a una distanza dalla costa superiore a 9 miglia e aventi un potenziale minerario di gas superiore a 150 milioni mc. Inoltre consente il rilascio di nuove concessioni di coltivazione in zone di mare poste fra le 9 e le 12 miglia. In pratica si rimetterebbero in gioco riserve per 30 miliardi di metri cubi nel medio termine, dando un segnale inequivocabile ai mercati.