Tredicesima, meno tasse. Leo: «Nella riforma una flat tax sulla mensilità aggiuntiva»

La riduzione dei contributi scatterà da luglio a dicembre

Tredicesima, meno tasse. Leo: «Nella riforma una flat tax sulla mensilità aggiuntiva»
di Luca Cifoni
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Mercoledì 3 Maggio 2023, 00:08 - Ultimo aggiornamento: 4 Maggio, 08:49

Esonero contributivo applicato per sei mesi, fino a dicembre, invece dei cinque previsti fino alla vigilia del Consiglio dei ministri. Il decreto Lavoro approvato dal consiglio dei ministri contiene alcune novità rispetto al testo della vigilia. Intanto però c’è chi guarda avanti: il viceministro dell’Economia Maurizio Leo pensa ad una possibile detassazione della tredicesima dei dipendenti all’interno della riforma fiscale, e conferma che le risorse per finanziare la riduzione delle tasse dovranno essere cercate nelle attuali agevolazioni fiscali ed in particolare tra i crediti d’imposta esistenti.

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La legge delega all’esame del Parlamento prevede in realtà tra i suoi principi l’introduzione - anche per i lavoratori dipendenti - di un regime sostitutivo (una sorta di flat tax) per i redditi incrementali, ovvero quelli che superano il livello del triennio precedente.

In questo ambito potrebbe trovare posto l’istituzione di un’imposta fissa (al posto dell’Irpef che è progressiva) sia per i premi di produttività che per le mensilità aggiuntive. La logica dell’operazione sarebbe quella di garantire ai lavoratori un incremento del netto operando però non sul reddito nel suo insieme, ma su alcune componenti teoricamente variabili. In questo senso negli ultimi anni i premi di produttività hanno già goduto di un’aliquota di favore del 10%, che per il 2023 è stata ulteriormente ridotta al 5%. A varie riprese è stato proposto (ma mai attuato) un regime del genere anche per gli straordinari, allo scopo di renderli più convenienti. Per quanto riguarda in particolare la tredicesima, una detassazione avrebbe anche un sicuro effetto psicologico, visto che questa mensilità si incrocia di solito con i conguagli Irpef di fine anno che a volte la penalizzano.

LA CORREZIONE

Tornando al provvedimento esaminato dall’esecutivo il primo maggio, la correzione più rilevante è sicuramente l’estensione del taglio del cuneo fiscale, sotto forma di riduzione di quattro punti dell’aliquota contributiva relativa alla gestione pensionistica. Era stato ipotizzato che questo meccanismo fosse applicato per soli cinque mesi, da luglio a novembre, ma come risulta dal comunicato ufficiale di Palazzo Chigi si arriverà invece a dicembre, con l’esclusione però della tredicesima mensilità. Questa scelta incrementa ovviamente il beneficio complessivo, che si aggiunge a quello previsto dall’ultima legge di Bilancio per l’intero 2023. Più precisamente l’ulteriore esonero di quattro punti si aggiunge ai tre già in vigore per coloro che hanno una retribuzione lorda fino a 25 mila euro l’anno (1.923 mensili) e ai due di chi percepisce fino a 35 mila euro (2.692 al mese). Si arriva così per la prima categoria ad un taglio di sette punti (l’aliquota scende dal 9,19% al 2,19%) e di sei per la seconda (si arriva al 3,19%). I minori versamenti non avranno effetti sulla pensione futura (lo Stato si impegna a compensare la differenza) e nell’immediato garantiranno un incremento del netto nel cedolino dello stipendio. Di quanto? Occorre ricordare che la riduzione dei contributi va ad aumentare l’imponibile Irpef e quindi l’importo dell’imposta stessa. Per cui una parte del beneficio viene assorbito dalla tassazione. Così ad esempio per uno stipendio da 1.923 euro lordi mensili (quello massimo della prima fascia) i quattro punti in meno valgono in termini lordi 77 euro al mese in meno. Che una volta applicata l’Irpef scendono a 51. L’importo aggiuntivo viene percepito appunto per sei mesi, durante i quali si somma ai circa 38 già resi disponibili dalla Legge di Bilancio: in tutto il beneficio mensile nel periodo è di circa 89 euro. Complessivamente la sola mossa decisa l’altro ieri comporta un incremento di reddito di 304 euro. Per chi invece percepisce una retribuzione di 2.692 euro lordi, il taglio lordo ammonta a 108 euro, che scendono a 61 in termini netti e si aggiungono ai 30 già disponibili per un totale di 91: su sei mesi il beneficio complessivo relativo solo all’ultimo provvedimento è di 364 euro.

Da gennaio 2024 l’aliquota dovrebbe tornare per tutti al 9,19%, il che provocherebbe una riduzione del reddito disponibile degli interessati. Ma sul piano politico il governo vorrà certamente impedire che ciò accada. Si tratta di trovare le risorse finanziarie necessarie: la prima decontribuzione valeva per il bilancio dello Stato poco meno di 6 miliardi, a cui si aggiungono gli oltre 3 utilizzati ora per il secondo intervento. Considerato però che quest’ultimo vale per soli sei mesi, riproporre il taglio di 6-7 punti per l’intero 2024 costerebbe oltre 10 miliardi. Senza considerare il progetto, che pure esiste, di ampliare lo sconto oltre la soglia dei 35 mila euro l’anno.

IL WELFARE AZIENDALE

Sempre a beneficio dei dipendenti è confermata la detassazione, fino a 10 mila euro, delle eventuali erogazioni da parte del datore di lavoro per misure di welfare aziendale (fringe benefit) o anche a fronte del pagamento delle utenze energetiche. Questa possibilità è però riservata ai lavoratori con figli a carico. La definizione di “figlio a carico” dovrebbe ricalcare quella applicata ai fini Irpef: i ragazzi non devono avere un reddito proprio superiore ai 4 mila euro (o ai 2.841 dai 24 anni in su).
 

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