Tim, la ricetta Gubitosi: «Tlc e nuove tecnologie, così cambierà pelle»

Tim, la ricetta Gubitosi: «Tlc e nuove tecnologie, così cambierà pelle»
di Osvaldo De Paolini
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Martedì 27 Ottobre 2020, 00:43 - Ultimo aggiornamento: 16 Febbraio, 14:43

«Entro il primo trimestre 2021 avremo la prima regione senza digital divide. E i fondi del Next generation Eu, insieme a quelli stanziati dal governo, rappresentano un’occasione unica per rilanciare il Paese e superare la crisi causata dal covid». È ottimista Luigi Gubitosi, amministratore delegato di Tim, nonostante una congiuntura che non fa sorridere e dopo otto mesi in cui tutte le strutture del gruppo sono state messe a dura prova per il sovraccarico di sollecitazioni.

Gubitosi, in un recente studio di Mediobanca si legge che la vostra rete ha tenuto durante la prima ondata del virus. Ma ora il contagio rischia di essere più pervasivo e la stretta non meno rigorosa. Siete pronti ad affrontare una maggiore richiesta di servizi?
«Già a marzo abbiamo deciso che la rete andava ulteriormente rafforzata e ne abbiamo aumentato la capacità. La vera differenza in questi mesi è stata il veloce completamento della fibratura dei cabinet nelle aree bianche, che oggi sono coperte per il 70%: stiamo parlando di non meno di 2.700 comuni».

Lei ripete spesso che il digital divide in Italia verrà chiuso nel 2021. È una scommessa o qualcosa di più?
«Chiudere il digital divide è una questione di volontà e competenze. È dunque più di un scommessa: entro il 2021 questo gap potrà davvero essere chiuso. Dobbiamo impedire che si crei un pericoloso social divide per quanti non hanno ancora accesso alla rete».

Converrà però che la fibra al cabinet è cosa diversa dalla fibra fino a casa.
«Vero, non a caso sarà determinante anche la grande accelerazione che imprimeremo a inizio 2021 alle connessioni Ftth».

Quante sono le case effettivamente già connesse in Italia? Sui numeri c’è gran confusione, e spesso si ha la sensazione che la realtà sia ben diversa da quella dipinta dagli operatori.
«In Tim, quando parliamo di Ftth, ci riferiamo alla fibra che arriva effettivamente al cliente. D’altronde lo dice la parola, Fiber to the home. La nostra stima è di una copertura pari a circa il 20% delle linee attive per fine 2020; siamo il primo operatore per questo tipo di copertura».

C’è da sperare che questo numero aumenti velocemente con la partenza di FiberCop, altrimenti non si comprende perché l’abbiate creata. A proposito, quando partirà effettivamente e chi la gestirà?
«FiberCop sarà operativa entro il primo trimestre del prossimo anno e accelererà, ad un ritmo mai visto in precedenza in Italia, lo sviluppo della fibra Ftth. Quanto alla sua gestione, posso dire che il presidente sarà Massimo Sarmi, un nome che non ha bisogno di presentazioni nel nostro settore».

Perché i primi fornitori selezionati per FiberCop sono solo italiani? C’è molta buona tecnologia anche in giro per il mondo, e probabilmente a prezzi più contenuti.
«In termini di qualità e convenienza i produttori italiani di fibra sono tra i più competitivi. Inoltre, in una fase cruciale come l’attuale, Tim giudica importante che gli investimenti si estendano, ove possibile, anzitutto alla filiera nazionale».

Si è parlato tanto di rete unica e di fusione con Open Fiber, però si è parlato assai poco dei vantaggi che può portare agli utenti. E c’è chi si domanda se più reti non voglia anche dire migliore offerta.
«È facile capire che un unico soggetto renderebbe più semplice, veloce e senza duplicazioni, quindi con costi e tempi minori, la realizzazione della rete in fibra. Quanto a più reti, nulla impedisce che altri operatori partecipino al progetto grazie allo schema del coinvestimento, costruendo parti di rete per competere poi sul mercato».

Un progetto che comunque sembra stia tardando oltremodo. Nonostante il pressing del governo, non si vede ancora grande entusiasmo da parte del gruppo Enel, cui fa capo il 50% di Open Fiber.
«Noi non abbiamo smesso di lavorarci e anche il governo è al lavoro e sembra molto determinato.

Nel frattempo, continuiamo a lavorare su FiberCop».

Oltre alla rete unica, quali sono i driver della strategia Tim per i prossimi anni?
«Il titolo scelto per l’aggiornamento del piano strategico, che presenteremo a inizio dell’anno prossimo, è “Beyond connectivity”. Questo perché Tim si sta trasformando da pura società di telecomunicazioni in una società di prodotti e servizi tecnologici nell’accezione più ampia del termine. Ciò implica che il nostro fatturato, oltre al business tradizionale, sarà generato sempre di più da settori ad alta crescita e marginalità come cloud, Internet of things, cybersecurity».

Faccia qualche esempio delle nuove proposte.
«Stiamo costruendo Datacenter di ultima generazione per Roma, Milano e Torino. Oppure le Smart control room come quella già realizzata a Venezia. O anche le sperimentazioni nella smart agriculture».

Nonostante tutti questi progetti la quotazione di Tim è ai minimi. Oltretutto il rapporto tra gli azionisti sembra non preoccupare più il mercato. Perchè il titolo non si muove?
«Il board oggi lavora in piena sintonia, anche grazie al supporto degli azionisti. Quanto al titolo, tutto il settore in Europa è stato penalizzato, penso però che il mercato avrà presto motivi per apprezzare il titolo della nostra società. Generazione di cassa e riduzione del debito continuano a darci soddisfazione, anche grazie ai primi segni di miglioramento del fisso».

Il suo ottimismo ad alcuni potrebbe apparire fuori luogo rispetto a quanto sta accadendo sul fronte sanitario. Non la spaventa la curva dei contagi? 
«Mi sforzo di guardare avanti. Per questo ritengo che il 2021 sarà migliore, non solo per Tim ma per tutto il settore. Per Tim, perché si sta completando il lavoro di trasformazione del nostro gruppo e ci stiamo abituando a convivere con la pandemia. Inoltre, il settore digitale è al centro delle agende italiana ed europea, basti pensare che il Next generation Eu destina al digitale in Italia 40 miliardi, che si aggiungono ai 2,7 miliardi già stanziati dal governo. Ciò mi rende ottimista sul rispetto degli obiettivi forniti al mercato». 

A proposito di Recovery Fund, quali sono le attività che potranno essere sviluppate con quelle risorse?
«Le aree più rilevanti a mio avviso sono cinque: sviluppo della banda larga e chiusura del digital divide; accelerazione del 5G; sviluppo dei servizi cloud e dati; sviluppo dei servizi IoT e delle tecnologie connesse (blockchain, cybersecurity, AI e data analytics); promozione delle competenze digitali. Sulle prime quattro si dovrà agire sia sul lato dell’offerta sia della domanda. L’ultimo obiettivo è però a mio avviso il più importante. In assenza di una popolazione in grado di utilizzare le opportunità offerte dalla rete, tutto si rivelerebbe di scarsa portata se non addirittura inutile».

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