Meno tasse al Sud, governo pronto al pressing con la Ue

Meno tasse al Sud, governo pronto al pressing con la Ue
di Luca Cifoni
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Martedì 28 Luglio 2020, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 17:23

Dieci punti in meno di contributi sociali nelle Regioni meridionali, per spingere gli investimenti e l’occupazione in un’area del Paese che con l’emergenza Covid rischia di restare ancora più indietro. Il progetto è ormai da qualche settimana all’attenzione del governo, tra quelli da valutare con più attenzione in vista della legge di Bilancio: una misura generalizzata, da attuare per vari anni, potenzialmente di grande impatto visto che andrebbe a tagliare di quasi un terzo il costo del lavoro per le imprese, rendendo quindi molto più convenienti le assunzioni. Idealmente potrebbe affiancare i massicci investimenti messi in moto dai fondi europei del Recovery Plan, a loro volta finalizzati a ridurre il divario del Mezzogiorno in particolare nel campo delle infrastrutture e dell’innovazione tecnologica.

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GLI OSTACOLI
È stato lo stesso presidente del Consiglio all’inizio di giugno ad evocare l’ipotesi di una fiscalità di vantaggio per il Sud e nelle isole. Il ministro per la Coesione Giuseppe Provenzano è apertamente impegnato su questo tema e anche al ministero dell’Economia il dossier è oggetto di studio approfondito. Si tratta di però di un progetto complesso che dovrà superare alcuni ostacoli. Il primo riguarda le risorse finanziarie: con il nuovo scostamento di bilancio richiesto dal governo alle Camere, saranno aumentati i margini di disavanzo per quest’anno (fino a 100 miliardi) ed anche per il 2021.



Ma anche se con tutta probabilità le regole del Patto di Stabilità sono destinate a non tornare in vigore prima del 2022, dal prossimo anno dovrà essere quanto meno impostato un percorso di rientro dei conti pubblici; la decontribuzione generalizzata al Sud avrebbe un costo consistente e proiettato negli anni. E le priorità di politica economica da finanziare sono più di una, a partire dalla tanta attesa riforma fiscale. È pur vero che sempre dal 2021 inizierebbero ad affluire, sotto forma di sovvenzioni e di prestiti, i fondi di Next Generation Eu: soldi che con tutta probabilità non potranno essere usati direttamente per il taglio contributivo (su questo aspetto sono ancora in corso valutazioni) ma che comunque aprirebbero preziosi spazi di bilancio.

L’altro grosso nodo da sciogliere riguarda sempre il rapporto con l’Unione europea ma in una chiave diversa. Le scelte della Commissione e la stessa giurisprudenza della Corte di Giustizia sono state nel corso degli anni piuttosto contrarie a misure di riduzione generalizzata del carico fiscale in determinate aree di un Paese: secondo tale visione le imprese beneficiarie dell’agevolazione riceverebbero in sostanza aiuti di Stato e dunque la questione andrebbe considerata alla luce dell’articolo 107 del Trattato Ue. Su questo muro si sono sempre infrante in passato le speranze italiane di ottenere una disciplina favorevole per il Sud.

Da quando è esplosa l’emergenza Covid però l’esecutivo europeo - con in prima linea la stessa vicepresidente Vestager titolare del portafoglio sulla Concorrenza - ha mostrato anche su questo terreno un approccio molto più pragmatico. C’è tempo dunque fino al prossimo anno per verificare i margini di attuabilità del piano di decontribuzione, nell’ambito del nuovo clima europeo; la stessa costruzione di un credibile percorso di riforme finalizzate al Recovery Plan potrebbe aiutare la causa del nostro Paese, in una situazione di fortissima difficoltà dei territori meridionali.

GLI INCENTIVI
Al momento, nel piano Sud 2030 presentato a febbraio dal governo (e destinato quindi ad essere rivisto e aggiornato) l’incentivo fiscale agli investimenti ha una dimensione più limitata e passa per le Zes, le Zone economiche speciali introdotte da una legge del 2017 e destinate tipicamente alle aree portuali. Nelle Zes è possibile accentuare i vantaggi già disponibili per le imprese ed allo stesso tempo prevedere una serie di drastiche semplificazioni amministrative. Sul fronte fiscale una direttrice importante riguarda poi il credito d’imposta per la ricerca, che il governo punta a rafforzare. Una misura significativa è stata già messa a punto con il decreto Rilancio, che interviene su norme introdotte dall’ultima legge di Bilancio. Il livello del beneficio viene portato dal 12 al 25 per cento.

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