Treu (Cnel): «Bisogna seguire Draghi, il Sud riparta dai giovani»

Treu (Cnel): «Bisogna seguire Draghi, il Sud riparta dai giovani»
di Nando Santonastaso
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Venerdì 21 Agosto 2020, 07:34 - Ultimo aggiornamento: 11:24
Presidente Treu, pensa anche lei che il Recovery Fund sia un'occasione irripetibile per il Mezzogiorno?
«Mai come adesso il Mezzogiorno è come una cartina di tornasole per tutto risponde Tiziano Treu, giurista, ex ministro e presidente del Cnel, il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro -. L'Europa ha messo in campo un grande sforzo: tutti insieme, cioè, contro la sua stessa storia di divisioni e contrasti, per aiutare soprattutto le aree più deboli. E l'Italia lo è sicuramente. Adesso tocca a noi, l'occasione va sfruttata per tutto il Paese, a cominciare dal Sud. Per dirla con Mario Draghi, ora meno sussidi e più sviluppo».
Facile essere d'accordo con Draghi, decisamente più complicato agire in quella direzione, non trova?
«Ahimè, non abbiamo una buona reputazione nel cogliere le occasioni che l'Europa ci ha proposto. Pensi a quanta parte dei Fondi strutturali è stata spesa male. Noi facciamo tante leggi ma non sappiamo poi a implementarle, non riusciamo cioè a farle funzionare. Come Cnel, però, abbiamo rilevato che tra il 2018 e il 2019 chi ha saputo spendere le risorse in investimenti, magari anche piccoli, sono stati i Comuni: hanno dimostrato di utilizzarle meglio rispetto alle grandi opere. E questa è una buona notizia visto che il decreto di agosto ha messo in campo una serie di risorse destinate proprio agli investimenti dei Comuni. Con piccoli interventi si può tenere in vita l'economia e stimolare investimenti più importanti: è una possibilità concreta che andrebbe sfruttata sui territori».

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Il Piano straordinario per il Sud 2030 può aiutare?
«Assolutamente. Come Cnel abbiamo salutato con interesse l'iniziativa del ministro Provenzano, che è venuta prima della pandemia e che è dunque tutta italiana, a prescindere cioè da quante risorse europee arriveranno. E' un dovere nazionale attuare il Piano, specie per i giovani, e cito ancora Draghi, che sono maltrattati ovunque ma sicuramente di più nelle aree deboli».
C'è chi storce il naso quando si parla di ripartenza dal Sud, presidente.
«Guardi, il Nord non sta messo benissimo. I giovani che emigrano dall'Italia per lavoro vanno ormai sempre più dal Settentrione all'estero. Ma continuare a sprecare tante risorse, al Nord come al Sud, non è accettabile. E' vero che i tassi di occupazione del Nord sono migliori ma questo non vuol dire che là ci sia un benessere generalizzato e diffuso. Il nostro deficit di crescita e di produttività investe anche regioni come il Veneto da tempo. Bisogna fare in modo che tutta Italia vada meglio, a cominciare dal Mezzogiorno».
Il Recovery Fund indica di fatto gli asset per così dire strategici su cui l'Italia dovrebbe puntare, è d'accordo?
«I grandi driver sono chiari e tra poco arriveranno anche le linee guida. Ci sono due transizioni, una è quella verde e l'altra è l'innovazione tecnologica. Ma Draghi ha fatto bene a indicare come priorità i giovani e l'educazione. Più di trent'anni fa l'Italia fece il salto dell'alfabetizzazione, da contadini a lavoratori dell'industria. Oggi bisogna compiere quello del digitale e questo non vuol dire che basterà rimpinzare tutto di computer: bisognerà formare una generazione di persone in grado di essere all'altezza di questo sforzo. Per non parlare dell'impatto che l'innovazione tecnologica produrrà sul sistema generale del lavoro che sta il grande tema del Paese. Non a caso i metalmeccanici tedeschi hanno già deciso e in parte attuato, ad esempio, la riduzione a 28 ore della settimana lavorativa. L'homo faber resterà centrale ma certi processi andranno affrontati comunque».
Lei e Romano Prodi con la Stoà di Ercolano, avevate già ragionato in questi termini.
Proprio così. Fondammo questa Scuola di master con l'idea che un giovane non dovesse andare alla Bocconi per avere tutte le chances della vita ma acquisirle in loco. C'erano 50-60 borse di studio all'anno e tantissimi giovani interessati. Bisognerebbe ripartire da questo modello naturalmente moltiplicando il numero di queste istituzioni di formazione, specie in materie tecniche».
Qual è il rischio maggiore nella definizione delle proposte per il Recovery Fund? Accontentare tutti, ad esempio?
«No, concentrare tutto sui sussidi. Finora il governo non poteva che seguire questa strada, considerata l'emergenza prodotta dal contagio. Ora bisogna cambiare marcia e decidere che non si devono spargere soldi a pioggia ma investire nelle due grandi transizioni, non nelle mance. E al primo posto vengono quelli sulle risorse umane come dice Draghi, che è un economista e ha fatto finanza per tutta la vita: puntiamo sulla conoscenza e dal momento che il Sud da questo punto di vista ha un mucchio di risorse, la strada è obbligata».
Ma lei Draghi lo vedrebbe bene in politica?
«Ha sentito cos'ha risposto Draghi? Chiedete a mia moglie. Io l'ho conosciuto bene, è una persona eccezionale ma credo che abbia altri progetti. In ogni caso non dobbiamo farci aiutare da un Papa straniero, per così dire: abbiamo già in loco Cardinali e Papi, se vogliamo».
Ma l'attuale governo sarà in grado secondo lei di gestire un tema così forte come la visione del Paese per i prossimi anni?
«La storia di questi ultimi anni ha dimostrato che l'instabilità politica, di cui anche l'attuale esecutivo è vittima, impedisce di prendere le decisioni serie che ci attendono. Parlo di scelte che si attuano non in tre o sei mesi ma in un orizzonte di tre-cinque anni. Devono essere cioè stabili e durature, passata la peste non si può indugiare».

 
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