Stipendi, il rilancio nordista di Bonomi (Confindustria): «Al Sud salari più bassi»

Stipendi, il rilancio nordista di Bonomi (Confindustria): «Al Sud salari più bassi»
di Francesco Bisozzi
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Domenica 15 Novembre 2020, 00:19 - Ultimo aggiornamento: 16:12

Aumenti degli stipendi mirati in base alla produttività nelle varie zone del Paese, più marcati nelle regioni del Nord a sfavore di quelle meridionali. Il ritorno alle gabbie salariali, i differenziali retributivi per aree geografiche in vigore fino al termine degli anni sessanta, per Confindustria costituirebbe un elemento di cambiamento in grado di favorire la ripartenza del Paese. Ieri il presidente di Confindustria Carlo Bonomi ha provato a rilanciare il tema durante la rassegna «Futura 2020» della Cgil, animata dagli interventi del numero uno di viale dell’Astronomia e dal segretario generale del sindacato di Corso Italia Maurizio Landini, che hanno parlato di contratti collettivi nazionali e non solo.

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LO SCAMBIO

Così Bonomi: «Siamo una nazione ferma da venticinque anni sulla produttività.

Il Paese non è omogeneo nelle sue caratteristiche di produttività, tra Nord e Sud esistono delle differenze. Risultato? La contrattazione centralizzata anziché mantenere una minor differenza finale, nella realtà colpisce molto il salario reale. Ho sempre sostenuto che lo scambio deve essere salario-produttività e non salario-welfare». Una tesi che però non tiene conto dei disagi con cui devono fare i conti i lavoratori del Mezzogiorno che se da un lato beneficiano, in linea teorica, di un minor costo della vita dall’altro scontano le storiche carenze a livello di sanità pubblica, Tpl, infrastrutture. Ritardi che penalizzano la vita e la stessa attività lavorativa, più che compensando - in negativo - i vantaggi in termini di potere d’acquisto. Il leader degli industriali prende a esempio la Germania, dove la differenza di salario nominale tra Est e Ovest è di oltre 28 punti, mentre in Italia è di circa 4 punti tra Nord e Sud: «In Germania hanno lasciato la possibilità di una contrattazione molto forte di secondo livello legata alla produttività territoriale e questo ha permesso loro di avere una capacità di reddito parametrata alla produttività di territorio e quindi di avere una capacità di economia reale molto più forte della nostra». In Italia le tabelle salariali introdotte nel dopoguerra hanno contribuito però a spaccare in due il Paese e nel 1969 sono state abolite proprio grazie alla ferma opposizione dei sindacati. Un ritorno al passato al momento appare decisamente improbabile, oltre che inopportuno. In una fase in cui - al contrario - l’accesso alle risorse europee del Recovery Plan dovrebbe rappresentare l’occasione per riuscire quanto meno ad accorciare il gap infrastrutturale e di servizi pubblici che tuttora caratterizza il Sud e le Isole.

I LIVELLI

Il segretario della Cgil dal canto suo difende la contrattazione nazionale e ricorda che l’Italia è il Paese con i livelli salariali più bassi e i livelli di orario più alti: «Insisto sui contratti nazionali non perché siano alternativi alla contrattazione aziendale ma perché nel nostro Paese noi siamo fatti anche di tante piccole medie imprese e il contratto nazionale rimane lo strumento che è in grado di dare risposte a tutti e di alzare e unificare il livello di qualità in senso generale. Tra quest’anno e il prossimo ci saranno dodici milioni di lavoratori pubblici e privati alle prese con il rinnovo del contratti. È ora di investire sul lavoro per battere il Covid-19». Nonostante le distanze, industriali e sindacati si dicono pronti ad avviare ora una consultazione permanente a patto che il governo partecipi alla discussione in veste di arbitro. «Il cambiamento o si fa insieme o non si fa. Sì alla consultazione, non solo con noi, perché il sindacato non è solo la Cgil. L’importante è rivendicare tutti insieme con il Governo una discussione, non è sufficiente parlarsi in due», ha spiegato il leader della Cgil. Anche per Confindustria è il momento di confrontarsi. Il presidente dell’associazione non si tira indietro: «Noi come Confindustria e la Cgil, che è la parte più importante del fronte sindacale, abbiamo una grande responsabilità. Dobbiamo metterci intorno a un tavolo, al di là delle differenze, allo scopo di trovare soluzioni per il Paese. Ma il governo deve rimanere arbitro perché se fa la sponda tra le due squadre come successo in passato non funziona». 

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