Sperimentazione ENEA sulle plastiche RAEE: da materiale di scarto alle stampanti 3D

Sperimentazione ENEA sulle plastiche RAEE: da materiale di scarto alle stampanti 3D
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Giovedì 28 Maggio 2020, 10:30
(Teleborsa) - Le plastiche RAEE sono una grande risorsa, da cui ricavare un ritorno economico, producendo fili destinati all'alimentazione di stampanti 3D o anche riportandole allo stato primordiale, attraverso un procedimento chimico, per ottenere un prodotto molto simile al crude oil (petrolio) o la materia prima necessaria a produrre nuove plastiche "riciclate". Un notevole vantaggio per le aziende, che oggi percepiscono la plastica come un costo "puro" o un materiale di scarto a basso ritorno, ed un ottimo esempio di economia circolare.

E' quanto spiegato in una intervista rilasciata a Teleborsa Riccardo Tuffi, Ricercatore Laboratorio tecnologie riuso e recupero materiali presso il centro ENEA della Casaccia.

La plastica è fra i principali agenti dell'inquinamento, in particolare il recupero delle RAEE. Ci può dare qualche informazione?

"In Italia è stato stimato che vengono prodotte circa 1 milione di tonnellate di RAEE, ma solo 300mila vengono recuperate e, di queste, il 30% è costituito da plastica che potrebbe essere lavorata e valorizzata, ma questo purtroppo non sempre avviene".


Qui al centro ENEA della Casaccia si sta studiando un processo per ricavare dalle RAEE delle bobine in plastica. Ci può spiegare come funziona?

"Queste bobine devono costituire l'alimentazione per stampanti 3D. Questa idea è nata dalla considerazione che fra i filamenti più utilizzati commercialmente per le stampanti 3D c'è l'ABS (acrilonitrile, butadiene, stirene) e circa il 50-60% della plastica RAEE è costituita da materiali stirenici. Abbiamo quindi pensato di selezionare la plastica idonea, caratterizzarla chimicamente e cercare di produrre con questa plastica un filamento che potesse sostituire, almeno in parte, il polimero vergine. Ci sono alcune categorie di RAEE come ad esempio i rifiuti elettronici ed i televisori, da cui si possono ottenere fili equivalenti a quelli commerciali, seppur con colorazioni limitate, perlopiù il nero. Questo tipo di bobine però potrebbe essere utilizzato per fare i prototipi iniziali, poi una volta che il disegno del prodotto è completo potrebbero essere sostituite dalle bobine commerciali. C'è da tener conto che oggi la plastica costituisce un costo per gli impianti, che in questo modo potrebbero invece avere un prodotto spendibile sul mercato".

Come funziona, quali sono i passaggi di questo processo?

"La plastica idonea deve essere innanzitutto selezionata, perché va tenuto conto che nei RAEE sono presenti più di 20 polimeri differenti: Una volta selezionata quella idonea (stirenica), occorre fare delle analisi perché queste plastiche non devono avere contenuti troppo alti di ritardanti di fiamma bromurati, che sono proibiti dalla legislazione europea. Selezionate le categorie omogenee, la plastica viene triturata e poi estrusa ad una temperatura di 180-200°. A questo punti l'estrusore crea un filo della dimensione adatta per essere usato dalle stampanti, che viene avvolto in bobine, poi disponibili per la vendita".

Ci ha parlato di un recupero economico di queste bobine.

"Si, la plastica oggi costituisce un costo per gli impianti o viene venduta a 15-20 centesimi al Kg, mentre le bobine commerciali hanno un costo di 20-30 euro al Kg, ci sono anche quelle che hanno dentro un materiale auto-estinguente che arrivano fino a 50-60 euro al kg. Ad esempio la plastica RAEE è già auto-estinguente. Non abbiamo fatto un vero e proprio studio economico, ma immaginiamo che passare dagli attuali 15-20 centesimi di oggi a 10-20 euro al Kg per gli impianti potrebbe essere un grande guadagno".

In caso di plastiche di tipo eterogeneo c'è un altro processo che utilizza un processo chimico. In cosa consiste?

"Quando i flussi di plastica sono eterogenei non è possibile il riciclo meccanico, perché plastiche diverse non sono mescibili tra di loro, quindi un'altra linea di studio che stiamo portando avanti è quella di effettuare su questo tipo di rifiuti un riciclo di tipo chimico, in particolare la pirolisi. Si tratta di una degradazione termica che per le plastiche avviene fra 400° e 500° in assenza di ossigeno, in modo da non avere combustione. La plastica - il polimero - si degrada così nei suoi mattoncini di partenza. Questi vapori vengono ricondensati ed il prodotto che si ottiene è un crude oil, un petrolio, che può essere utilizzato sia come combustibile, previa raffinazione, oppure può tornare alla chimica di sintesi per riprodurre la plastica stessa".

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