Imprese, solo l’8% dei capi azienda si preoccupa del divario generazionale

SCAMBIO GENERAZIONALE NELLE AZIENDE, UN'OPPORTUNITA' PER CRESCERE
di Federica Simone
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Venerdì 31 Maggio 2019, 20:30 - Ultimo aggiornamento: 20:40
Il neoassunto aiuta il responsabile più anziano a navigare nel web, lo stagista spiega al suo capo come si trasforma un documento word in pdf e il capo gli insegna il mestiere che ha appena cominiciato a fare. Si chiama reverse mentoring e secondo Wyser, società internazionale di Gi-Group specializzata nella ricerca e nella selezione di profili manageriali, è una grande opportunità per le aziende.

Con il termine reverse mentoring si intende più precisamente quel processo in cui i giovani con meno esperienza, ma con una forte competenza digitale, aiutano i senior, con una lunga esperienza lavorativa, a familiarizzare con la tecnologia. Puntare quindi sul melting pot generazionale e far convivere all'interno di una stesso contesto lavorativo cinque generazioni: i matures ossia i veterani, i Baby Boomers (i nati dal 1945 fino agli anni'60), la generazione X (i nati tra gli anni '60 e gli anni '80), la generazione Y (i nati dagli anni '80 agli anni '90) e infine la generazione Z (i nati dal 1995 fino al 2012).  Sono poche, tuttavia, le aziende che mettono al centro il fattore generazionale. 

«Da un’indagine svolta da PwC, solo l’8% degli amministratori delegati intervistati ha attivato strategie di diversity management con un focus sul divario generazionale in azienda. Quindi, sebbene la maggioranza delle imprese abbia ormai compreso l’importanza della gestione delle differenze presenti all’interno dell’organizzazione, i programmi di diversity and inclusion management (D&I) si incentrano soprattutto su aspetti come genere, etnia, disabilità, mentre restano pochi i casi in cui il focus è sull’età», commenta l'amministratore delegato di Wyser Italia Carlo Caporale.

In un contesto in cui la forza lavoro invecchia, la capacità di attrarre e trattenere talenti di tutte le età diventa vitale per le prestazioni e la sopravvivenza delle organizzazioni.

«Ogni età può essere associata a diverse abilità, ma anche a diverse visioni del mondo e del lavoro. I professionisti più anziani hanno esperienza e un elevato grado di responsabilità e attaccamento all’azienda, mentre i più giovani hanno un livello di digitalizzazione più alto e maggiore energia, caratteristiche che li rendono più propensi a essere promotori di innovazione. A tal proposito, può essere interessante quanto rilevato da un’università danese: imprese i cui dipendenti hanno età differenti comprese in un range di 37 anni sono quelle in cui si riscontra il più alto valore aggiunto in termini di performance di team. Da una parte, come risulta anche in uno studio dell’European Social Survey, i professionisti più giovani sperimentano più spesso forme di pregiudizio legate all’età (age-based) da parte dei colleghi più anziani. Dall’altra, fattori come crescita zero e progressivo invecchiamento della popolazione portano ad una permanenza più lunga delle vecchie generazioni in azienda e a un’insofferenza dei giovani talenti che la percepiscono come un ostacolo per la loro carriera», spiega Caporale. 

Ci sono Paesi come la Danimarca e la Norvegia in cui il trasferimento delle competenze e la gestione del passaggio generazionale rappresentano tematiche centrali all'interno delle politiche del lavoro. 

«Un recente accordo nel settore bancario italiano, ad esempio prevede la possibilità di ridurre l’orario di lavoro dal tempo pieno al tempo parziale nel periodo precedente al pensionamento, con agevolazione della copertura previdenziale che altrimenti rimarrebbe scoperta ed un corrispondente incentivo all’assunzione dei giovani, affiancati alle figure senior. La formula, da un lato, consente al professionista in uscita di affrontare il passaggio in maniera graduale, con benefici soprattutto in termini di qualità della vita. Dall’altro lato, gli incentivi permettono all’azienda di assumere nuove risorse, assicurandosi anche attraverso l’affiancamento la conservazione delle competenze al proprio interno», conclude Caporale. 

 
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