Salvare il sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia escludendo (temporaneamente) dal suo campo di applicazione le forniture di greggio via oleodotto, pari a quasi un terzo del totale che arriva in Europa. È la soluzione di compromesso escogitata dall’Ue, insieme a un bottino di aiuti contenuti nel piano “RePowerEU” per modernizzare l’industria petrolifera nazionale, per superare il no dell’Ungheria di Viktor Orbán che ha finora bloccato lo stop all’oro nero russo a partire da fine anno. E arrivare così non a mani vuote, ma perlomeno con un’intesa dimezzata, al Vertice dei leader che inizia domani pomeriggio a Bruxelles.
L’IPOTESI
Sull’ipotesi stanno lavorando in queste ore i tecnici della Commissione e gli sherpa dei governi, dopo gli incontri per gruppi ristretti di Stati membri di venerdì.
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Certo, il compromesso è sensibilmente al ribasso rispetto alla proposta iniziale, che ha via via perso parte del suo smalto. Nella versione originale, ad esempio, includeva anche il divieto per le compagnie di navigazione Ue di trasportare il petrolio russo verso Paesi terzi, nel frattempo saltato su pressione in particolare della Grecia. Negli ultimi giorni, tuttavia, il lavoro diplomatico è ripreso a pieno ritmo, nonostante la richiesta di Budapest di sottrarre il tema dalle discussioni del Vertice e lo scetticismo di von der Leyen, che da Davos aveva escluso la prospettiva di un accordo politico ad alto livello.
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La carta della realpolitik e la determinazione a mettere a segno un punto a favore di Bruxelles, però, potrebbero adesso prevalere. Nel 2021, la Russia aveva inviato circa 720mila barili al giorno di greggio attraverso l’oleodotto Druzhba, valori sensibilmente inferiori al milione e mezzo di barili al giorno in arrivo invece via petroliera nei porti del Baltico, del Mar Nero e dell’Artico, e che giustificherebbero la sostenibilità politica di rinunciare, per adesso, a colpire le importazioni attraverso l’imponente infrastruttura che attraversa l’Europa centro-orientale per concentrarsi invece soltanto sui carichi via nave, rimpiazzabili più facilmente e senza i necessari interventi di adeguamento degli impianti di raffinazione. E questo perlomeno finché Orbán non avrà ritenuto accettabile il mix di più tempo, con lo stop all’import di greggio russo a partire dal 2025, e aiuti economici messi sul tavolo da Bruxelles: nel piano “RePowerEU” per accelerare l’indipendenza da Mosca, infatti, la Commissione ha previsto 2 miliardi di euro per potenziare gli oleodotti «in vista dello stop al petrolio russo». Un riferimento non troppo velato alla richiesta di Budapest; i sostegni, tuttavia, sono collegati ai Recovery Plan esistenti, e quello magiaro non è stato ancora approvato a causa del braccio di ferro sullo stato di diritto tra Ue e Orbán. Escludere Druzhba dalle sanzioni interesserebbe però non solo Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia, ma pure Polonia, Austria e Germania.
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I PAGAMENTI
Il compromesso punta a mettere in salvo le altre componenti del sesto pacchetto che nulla hanno a che vedere col petrolio, in particolare le nuove restrizioni contro l’élite russa, tra cui il patriarca Kirill, e lo scollegamento di Sberbank e altre due banche dal sistema di messaggistica per i pagamenti internazionali Swift. Fra i negoziatori, però, c’è chi ha quasi perso la pazienza nell’infinita ricerca dell’unanimità che tiene in ostaggio la politica estera Ue. Anche perché - a voler essere pragmatici - per superarla non servirebbe una riforma dell’Ue, ma la volontà di attivare una clausola già prevista dai Trattati. All’unanimità, naturalmente.